martedì 21 agosto 2012

Un Paese vecchio

I telegiornali di ieri hanno dato ampio spazio al meeting annuale di Comunione e Liberazione: sono intervenuti prima Mario Monti e poi Corrado Passera. Mario Monti ne ha approfittato per inaugurare un nuovo Frecciarossa; Passera ha detto che sta lavorando per la ripresa.
Mi è venuto in mente che poche settimane fa un’altra persona a suo modo importante, Cesare Prandelli, ebbe a dire in una conferenza stampa molto affollata che “siamo un Paese vecchio”; e subito qualcuno cambiò le carte in tavola e gli fece dire “siamo un Paese di vecchi” riducendo il tutto a una semplice questione anagrafica. Non so di preciso cosa volesse dire Prandelli, so che di certo non stava parlando di calcio (l’argomento era la presenza nella Nazionale di calcio di due ragazzi non di origini italiane), ma a me pareva che avesse centrato il problema.
Chiedo fin d’ora scusa a Prandelli se sbaglio, ma ad essere vecchia è la mentalità di molti, troppi. Non solo dei manager e dei politici, ma di tutti. Troppi in questo Paese (diciottenni compresi) ragionano ancora come se si fosse negli anni ’50, e a me piacerebbe fare un piccolo inventario di questo “pensare vecchio”.
Per esempio, al primo posto metterei proprio queste dichiarazioni di Passera, di Monti: come si fa a parlare di ripresa se le imprese non ci sono più? Le nostre imprese sono sparite, non se ne è accorto nessuno? A parte i disoccupati, i precari, i mobilitati, eccetera, cioè quelli che sono andati a sbattere contro la realtà, sono ben poche le persone che si sono davvero rese conto di quello che è cambiato nel nostro Paese. Non siamo più un Paese industriale, la ripresa non arriverà mai dall’industria. Esemplari da questo punto alcune dichiarazioni dei ministri Clini e Polillo, durante le manifestazioni di operai dell’alluminio in Sardegna o del Petrolchimico: spiegavano “queste produzioni qui non torneranno più”, di mettersi dunque il cuore in pace – ma poi, cosa faranno questi operai? Nessuno sa andare oltre la spiegazione, ma a quella spiegazione ci arrivano tutti, non serve la laurea in economia: anche a Termini Imerese sanno che la Fiat di Marchionne è definitivamente chiusa, e che non tornerà più, la loro domanda è: adesso, noi, come facciamo?
Il signor Clini, ministro per l’Ambiente, spiegava con chiarezza e disarmante semplicità che il futuro dell’Energia non è più nel Petrolchimico, ma nelle biotecnologie. Ci si aspetterebbe, dopo un intervento simile, una dichiarazione del tipo “da domani tutte le aree possibili saranno coltivate per le bioenergie, e altre aree saranno recuperate”. Invece no, ci si ferma lì, alla semplice enunciazione del fatto che i disoccupati devono farsene una ragione; poi ci si siede e si aspetta che arrivi la ripresa.
Molti disoccupati non possono nemmeno più tornare a coltivare la terra, perché cementificata o asfaltata o presa d’assalto dalla speculazione edilizia. Eppure, lo slogan è ancora lo stesso degli anni ’50: “l’edilizia traino dell’economia, se si ferma l’edilizia si ferma tutto”. Di grazia, cos’altro si vorrebbe edificare? Qui intorno a casa mia hanno costruito ovunque, sono rimasti solo i vasi di fiori di mia mamma, volete costruire anche lì?
L’altro giorno qui in Lombardia gli assessori alla viabilità si sono vantati di nuove strade e autostrade costruite “senza nemmeno un euro di contributo pubblico”. Benefattori, dunque? Anime pie e disinteressate? No certo, tutto il terreno intorno alle nuove strade e autostrade è già stato lottizzato e sarà costruito.
E si continua con altri slogan degli anni ’80 e ’50, dal “privatizzare” alla “vendita di beni pubblici”, cioè gli stessi slogan e le stesse ricette che ci hanno portato all’attuale crisi. Con la vendita di beni pubblici, per esempio le caserme dismesse in pieno centro, alcuni hanno fatto affari d’oro: beati loro, sono poche persone ma per loro la crisi non c’è mai stata e mai ci sarà, finchè governano persone con questa mentalità. La crisi ci sarà per noi, mai per loro.

Insomma, se Monti e Passera avessero voluto fare un discorso nuovo, rivolto veramente al futuro (e non sono sicuro che ne siano capaci) avrebbero dovuto dire che non si può più vivere come in passato, che dobbiamo tutti ridimensionare abitudini e consumi, e che il nostro Paese deve tornare ad essere autosufficiente in termini agroalimentari. Un discorso che sarebbe stato antipatico e indigesto, ma se ci si guarda intorno si capisce che è l’unico accettabile: sono troppe le imprese che hanno chiuso in questi ultimi 10-15 anni, un numero enorme, e sono imprese che non torneranno mai più. E poi viene da pensare: se Monti e Passera avessero voluto fare un discorso serio sul futuro del Paese, non sarebbero andati al meeting di CL: CL rappresenta il passato, è un movimento nato in contrapposizione al ’68, di acqua sotto i ponti ne è passata davvero tanta.

Se invece avessi fatto quest’inventario nel 2011, al primo posto del “pensare vecchio” avrei messo le dichiarazioni razziste di molti ministri ma poi per fortuna è arrivato il cambio – almeno in quello. Intanto che si dava la colpa agli extracomunitari qui in Padania si chiudevano tutte le nostre ditte e si cementificava o asfaltava un’area di terreno pari a un’intera regione (e non è ancora finita), con le ovvie ripercussioni sull’inquinamento e sul peggioramento della vita quotidiana.
Un altro esempio di mentalità vecchia, ma qui siamo al limite della barzelletta, è che poi questi magnifici sapienti messi davanti alla realtà invece di rispondere si rivolgono a chi fa osservazioni e dicono: “allora spiegaci tu cosa si deve fare”. Ma io non so cosa si deve fare, mica ho fatto la Bocconi, io. Comunque sto al gioco e provo a dire la mia opinione.
Non sono sicuro che ci siano soluzioni. Siamo all’emergenza, e sarebbe ora di parlare chiaro: quello che abbiamo perso non tornerà più. L’unica soluzione è tener presente che siamo tutti sulla stessa barca, vecchi e giovani, maschi e femmine, italiani e stranieri. Negli anni ’50, per i disoccupati, c’erano ancora orti e campi da coltivare: oggi comperiamo granturco e frumento dall’America, ma in America c’è in corso una siccità spaventosa, epocale: magari ce la caveremo anche stavolta, ma non è detto che vada sempre bene. Le fabbriche non ci sono più, i negozi non ci sono più, non si può più nemmeno coltivare la terra: il futuro è davvero preoccupante, la svolta dovrebbe cominciare da subito, ma così non sarà. Di fronte alla crisi vera e manifesta, cioè alla fame e alla miseria, i ricchi e potenti potranno fare repressione, ma non sarà di certo un bel mondo. L’immagine che può tornare, e che fa spavento, è quella di Bava Beccaris, Milano 1898.
La ripresa, se c’è, non sarà dunque per tutti. E’ vero che di là della crisi e della recessione c’è un’altra sponda, e che ci arriveranno in molti; ma molti non significa tutti, e, soprattutto, come suona vecchia quella parola, “recessione”. Recessione e ripresa sono termini vecchi, ormai non servono più. Mi sorge piuttosto davanti l’immagine del guado: il guado serve per trovare nuove terre e nuova ricchezza, in teoria non è una cosa difficile ma durante il guado molti gnu e molte zebre muoiono, annegati o divorati dai coccodrilli. E così sarà anche di noi.

Aggiornamento al 23 agosto 2012: notizia di oggi, 2700 sportelli bancari verranno chiusi, diciannovemila (19000) licenziamenti in arrivo. E' la ripresa secondo Passera: sempre meno servizi ai cittadini, sempre più disoccupati.

Aggiornamento al 25 agosto 2012: ecco le ricette di Monti, Passera e Fornero per la ripresa: privatizzare sanità, cultura, tutto. I ticket sanitari sono soldi veri, non bolle finanziare; fanno comodo. Ma non a voi, cosa avevate capito? A loro. (qui siamo già vicinissimi al feudalesimo, al latifondo...)

Aggiornamento al 28 agosto 2012: notizia di oggi, le province saranno accorpate e ridotte di numero, quindi - gioia infinita! - si stanno cercando i nomi nuovi. Già si parla di una "Provincia del Gusto", questa sì che è una novità, finalmente non saremo più un Paese vecchio (la notizia l'ho sentita al TG3, se non è vera tiro un sospiro di sollievo, ma ormai è certo: se è una xxxxxxx, è sicuro che la si fa).

Aggiornamento al 13 settembre 2012: Mario Monti se la prende con lo Statuto dei Lavoratori. Quando non sanno più cosa dire, viene buona la scuola Berlusconi: salta su uno del governo e spara la sua xxxxxxx (dal 1970 al 1999, con lo Statuto dei Lavoratori, l'Italia era la quarta potenza industriale al mondo)

giovedì 16 agosto 2012

Il caso ILVA e i motori diesel

La grande acciaieria ILVA di Taranto rischia la chiusura, il che significa migliaia di posti di lavoro in pericolo, e quindi il crollo economico di tutta la città. Il motivo per una volta non è la delocalizzazione, ma è l’inquinamento, l’avvelenamento dell’aria, dell’acqua, del suolo. Si poteva fare qualcosa, si può fare qualcosa?
Il caso dell’ILVA di Taranto è esemplare. Di fronte a un reato, la magistratura non può fare altro che intervenire. Il compito della magistratura, dei carabinieri, dei finanzieri, è proprio questo: intervenire quando c’è un reato, ed evitare che il reato continui. Il resto spetta alla politica.
Faccio un esempio, perché so che molti non capiscono: se una madre di famiglia compie un omicidio, quando viene arrestata i suoi bambini rimangono a casa da soli. E’ una cosa grave, preoccupante, serissima: ma non si può certo lasciare libero un assassino.
Con l’ILVA di Taranto, stando alle notizie che arrivano a noi semplici spettatori, siamo di fronte non solo all’avvelenamento di suolo, acqua e aria, ma anche alla più che probabile corruzione delle persone che dovevano controllare, fare i rilievi, indicare per tempo le cose da correggere.
Tutto questo è gravissimo, ed è stato denunciato per tempo, sono anni che se ne parla. Non solo: tutto questo succede in ogni parte d’Italia, in ogni ambiente. E’ per questo, solo per fare un esempio, che molti non si fidano degli inceneritori di rifiuti: come facciamo ad essere sicuri dei dati forniti, se è possibile corrompere un funzionario per nascondere tutto? Nel mio piccolo, posso raccontare che io come analista chimico ho compilato molti certificati con dati falsi: non erano cose importanti, ma i dati erano spesso falsi ed erano i miei capi a dirmi “scrivi che va bene e fai uscire l’autobotte”.
Non sto qui a raccontare i miei casi personali, ne accenno qui solo perché penso che sia facile immaginare cosa succede a un lavoratore dipendente se contraddice il suo capo, il resto lo si può immaginare facilmente. Ma è la politica che deve intervenire su queste cose, e la politica non lo fa mai: non perché “sono tutti ladri”, ma perché intervenire in queste cose fa paura, il politico che dovesse intervenire in questi casi non verrebbe più rieletto, gli elettori (cioè i cittadini, noi) non lo voteranno più. Quindi, le responsabilità sono di tutti: non solo dei politici e dei sindacati, ma anche dei singoli cittadini. Il non intervenire, il far finta di niente anche di fronte all’evidenza, sperando che tutto vada avanti così, è qualcosa che accomuna tutti.

Un esempio di cosa potrebbe succedere già da domani: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito di recente il gas di combustione dei motori Diesel tra le sostanze sicuramente cancerogene. Sulla base di questa decisione, già da domani qualsiasi pretore o giudice può bloccare la circolazione di tutti i veicoli Diesel, e vietare la vendita del carburante.
Non vi piace l’idea, vi immaginate i supermercati vuoti perché i camion non possono circolare, vi secca moltissimo perché avete un Diesel in garage? Vi dà fastidio? Allora tenete presente che non solo il divieto potrebbe essere operativo in qualsiasi istante, ma che anche nelle altre benzine (e non solo nei Diesel) sono presenti in grande quantità sostanze tossiche e cancerogene, e che le famigerate PM 10 sono composte in gran parte da frammenti di pneumatici e dischi dei freni.
Che si fa, si continua a far finta di niente? Penso proprio di sì, così va il mondo. Mica vorrete rinunciare alla moto, all’automobile, al condizionatore...Per tutelare la nostra salute, arriverà invece l’obbligo di mettere il casco quando si va in bici, e magari di comperare un etilometro da tenere in macchina; quanto ai pretori e ai magistrati, sono già pronte pesanti campagne di stampa contro di loro.

domenica 12 agosto 2012

Giallo cadmio

Ci sono molti veleni nella composizione delle terre e delle pietre che fornivano i colori ai pittori: se per l’ocra e la Terra di Siena la colorazione è dovuta quasi soltanto ai composti del ferro (i vari colori della ruggine), che è maneggiabile senza troppi problemi, il discorso cambia quando si passa ai colori più belli e brillanti. Fa impressione per esempio leggere cosa c’è dietro il colore giallo: solfuro di cadmio, cromati di piombo. I sali di Cromo, Cadmio e Piombo sono tra i più tossici per il nostro organismo. Il discorso non cambia, o anzi peggiora, con il rosso: solfuro mercurico (cinabro), solfuro di cadmio, e ancora ossido di ferro, che però non fornisce colori brillanti. Fa eccezione la cocciniglia, di origine animale. Nemmeno per il verde, che si può ottenere anche miscelando blu e giallo, possiamo stare tranquilli: ossido di rame e ossido di cromo.
L’ossido di rame lo si può osservare anche in casa, negli oggetti di bronzo (lega di rame e stagno) o sui tetti delle chiese antiche: proprio quel verde lì, anche se magari nei minerali è combinato con qualcos’altro. L’ossido di ferro, cioè la ruggine, può avere differenti colori a seconda dell’umidità e dell’invecchiamento della ruggine: si va dal rosso ruggine più classico fino al marrone. In presenza di umidità, invece dell’ossido di ferro si forma idrossido di ferro, che ha una tonalità leggermente diversa; ma i composti del ferro possono essere molteplici.
Il rosso dei mattoni è dovuto alla cottura: l’argilla con cui sono formati contiene ossido di ferro idrato (tendente al giallo-ocra), che con la cottura diventa ossido di ferro anidro (senz’acqua) cioè il tipico color rosso mattone.
La sanguigna, una matita molto usata dai pittori del Rinascimento, è sempre un minerale di ferro. Il nome di questo minerale (o roccia) parla chiaro: ematite. La stessa etimologia dell’emoglobina (il ferro nel sangue, che dà il colore rosso) ma anche delle matite nere, che in quegli anni si chiamavano “carboncino”. La matita come la intendiamo oggi verrà messa in commercio solo alla fine del ‘700.
Infine il color d’oro, molto usato nell’arte sacra e nelle icone russe: che è proprio la foglia d’oro, sottilissima, usata anche dai rilegatori per le dorature delle copertine dei libri. Ma queste sono cose che sanno tutti, le darei per scontate.
Un po’ meno scontati sono i colori del vetro: non sono coloranti, ma colori minerali (cioè pietre, rocce) dispersi nella pasta fusa del vetro. E’ per questo motivo che il vetro non può essere decolorato: la decolorazione che si fa sui tessuti, con la candeggina o con l’idrosolfito, va a distruggere o modificare la molecola del colorante; il vetro invece è pietra liquida (silicato) che contiene altra pietra macinata e mescolata. Il risultato non è modificabile, non con i mezzi a nostra disposizione (sarebbe un’operazione costosissima).
I colori delle pellicole fotografiche sono più o meno gli stessi che usavano i pittori, dispersi nelle apposite emulsioni; ma il discorso qui diventerebbe molto complesso.
Oggi comunque i colori e i coloranti sono quasi tutti sintetici, a meno che non si abbiano richieste particolari da parte del pittori prevalgono i colori prodotti dall’industria chimica, dispersi in resine acriliche.
Quando si comperano i colori per le stampanti, oltre al giallo troviamo indicazioni come ciano e magenta, ormai termini internazionali. Ciano è un turchese, cioè un blu corretto col giallo; magenta è un rosso che – se non ricordo male – prende il nome dalla sanguinosa battaglia di Magenta (1859, vicino a Milano, in pieno Risorgimento).
da www.wikipedia.it  :
Il magenta è un colore che non fa parte dello spettro ottico: cioè la sua tonalità non può essere generata con luce di una singola lunghezza d'onda. Un colore magenta può essere ottenuto mischiando quantità uguali di luce rossa e blu. Pertanto il magenta è il colore complementare del verde: il pigmento magenta assorbe la luce verde. Con il giallo e il ciano, costituisce i tre colori sottrattivi primari.
Il ciano è uno dei colori dello spettro che l'uomo riesce a vedere, la lunghezza d'onda è intorno a 480 nanometri. Insieme al giallo ed al magenta è un colore primario sottrattivo. La stessa tonalità può essere generata miscelando uguali quantità di luce verde e blu. Il ciano è il colore complementare del rosso: il pigmento di colore ciano assorbe la luce rossa. Il ciano viene a volte denominato turchese e spesso non viene distinto dall'azzurro. Inoltre, nei testi sulla fotografia, fino agli anni settanta il ciano è stato solitamente chiamato blu-verde. (...)
Per concludere questa serie iniziata dai colori dei pastelli (e dei pittori) porto qui sotto queste due immagini che ho trovato su internet, al sito http://mudwerks.tumblr.com  . Non so da dove vengano di preciso, però consiglio di fare attenzione perché è un piccolo gioco: non sono gessetti, sono i colori di alcuni minerali o composti chimici, e anche delle radiazioni emesse da alcuni elementi quando vengono riscaldati (eccitati). Ne ho già accennato in un post dedicato al saggio alla fiamma, e l’argomento è la spettrometria; per parlarne a dovere bisognerebbe andare fino alla struttura dell’atomo, alla fisica quantistica, a Max Planck, ad Albert Einstein... Insomma, un discorso molto complesso: ma l’origine dei colori è lì, la spiegazione è negli elettroni e nei salti quantici. E qui devo fare una confessione: anch’io ne so poco o niente, quello che so mi basta appena per non perdermi appena entrato. Però è sempre bello sapere come è fatto il mondo che ci circonda, sia nelle piccole cose che in quelle grandi.
nelle immagini: un ritratto a sanguigna di Annibale Carracci, un disegno di Rembrandt, due ritagli da un vecchi libri o giornali, e le due foto di cui parlo qui sopra.

venerdì 10 agosto 2012

Caseina

Un’altra cosa a cui non si pensa mai, o comunque raramente, è che le tele dei pittori non sono semplici stoffe uscite dal telaio, ma vengono trattate appositamente. Oggi le tele dei pittori si comperano già pronte (mi dicono che costano molto), ma non è sempre stato così. La preparazione delle tele, così come degli intonaci per gli affreschi, era molto importante, fondamentale; e magari era il pittore stesso che preparava la tela perché non si fidava di nessuno e voleva essere sicuro che il suo lavoro non andasse perso. Molti pittori importanti, compresi Leonardo e Michelangelo, erano anche ottimi muratori: stendere un intonaco alla perfezione non è cosa da dilettanti.
Io non sono un pittore e non so dipingere, ma facendo normali lavori di manutenzione in casa (mio padre era molto bravo in queste cose) mi sono accorto che la preparazione del fondo, anche per una semplice imbiancatura o verniciatura, è molto importante. E’ dunque un’osservazione alla portata di chiunque, anche senza essere pittori: la carteggiatura, la stuccatura, l’eliminazione delle muffe e la prevenzione affinché non se ne formino di nuove, l’umidità, sono tutte cose di cui tenere conto quando si inizia un lavoro. Una cosa che ho notato, e che un po’ dispiace, è il vedere che con i nuovi prodotti oggi in commercio molto di questo lavoro è andato perduto: oggi ci sono vernici che attaccano anche sulla ruggine, così non si carteggia più. Il risultato è magari ottimo dal punto di vista igienico, ma come estetica lascia molto a desiderare: basta fare un giro per la metropolitana, osservare qualche ringhiera, qualche recinzione o cancello, per vedere cose che nessun artigiano degno di questo nome avrebbe mai perdonato a un suo collaboratore. Il mito della velocità, del fare in fretta, del lavoro visto solo come un costo, è una delle piaghe di questo inizio di millennio; ma passi, porteremo pazienza anche su questo
Tornando alla preparazione delle tele, i pittori usano termini alti e poetici, come “imprimitura”: siamo però dalle parti delle colle e degli appretti, o delle bòzzime che si usano per i filati quando passano attraverso il pettine del telaio. Colle e appretti significa farine: le farine, di origine vegetale o animale, sono state la base per tutte le colle dal tempo dei Sumeri fino all’invenzione delle colle viniliche e acriliche, cioè agli anni ’60 del Novecento. E’ per questo che topi e insetti si attaccano volentieri ai nostri libri, soprattutto a quelli più antichi: perché c’è roba da mangiare. A un topo o a un insetto, o magari a una muffa, importa poco che quella colla sia vecchia di trecento anni: sono creature molto meno schizzinose di noi, e anche questo è più che risaputo.
Facendo bollire una farina dispersa in acqua, o comunque in un liquido, si ottengono gli addensanti e le colle: esperienza comune per chi ha preparato, almeno una volta nella sua vita, un budino o una polenta. Le farine usate sono molte, da quelle ottenute dai cereali (che però in tempi di carestia erano ovviamente solo per uso alimentare) fino a quelle derivanti dalle ossa e dai tendini degli animali macellati, o magari dal siero del latte. Dal latte si ottiene infatti la caseina, proteina di origine animale che è alla base di molte colle.
da www.wikipedia.it
L'imprimitura si presenta come uno strato uniforme che ha la duplice funzione di isolare il supporto dalla pittura vera e propria e di regolare la saturazione dei leganti (ad esempio l'olio). Il termine deriva dall'italiano e letteralmente significa "primo strato". Le sue origini come strato di fondo risalgono agli usi tecnici tramandati dalle Corporazioni e dalle botteghe artigiane medievali, tuttavia è divenuto un metodo standard durante il Rinascimento, in particolar modo in Italia.
Tradizionalmente l'imprimitura si ottiene con diverse ricette a base di colle varie (di coniglio, di farina, di caseina) unite a gesso, bianco di piombo, bianco di Spagna, a uovo, a miele, a olio di lino variando gli elementi ed i dosaggi secondo la tecnica che verrà adottata per l'esecuzione dell'opera (diverse sono ad esempio le imprimiture grasse, adatte alla pittura a olio e quelle magre, adatte alla tempera). Frequenti nella pittura antica sono le imprimiture a base di terre, come nella pittura veneziana e spagnola (terra di Siviglia), nonché a base di bolo rosso. Anticamente si usavano anche particolari imprimiture nere, ottenute con grafite o nero di vite. Solitamente, si preferisce dipingere su uno strato di imprimitura che renda uniforme il supporto e che limiti l'assorbimento dell'olio, per lavorare con facilità il colore. L'imprimitura più usata, fin dai secoli passati, è il gesso, mescolato con colla, di caseina o di coniglio, e una piccola parte di olio di lino cotto: la miscela deve essere densa per formare spessore, ma allo stesso tempo abbastanza fluida da poter essere stesa. Questa imprimitura può essere utilizzata sia sulle tele che sulle tavole. (...) La carta o il cartone possono essere preparati con una stesura di olio di lino cotto, colla, vernice, oppure con i residui di colori a olio presenti sulla tavolozza, ben impastati. Oggi si trovano in commercio imprimiture acriliche, chiamate impropriamente "gesso", poiché sono composte da medium acrilico e bianco di titanio.
La presenza dell’uovo, la chiara o il rosso, rimanda non solo alle colle e agli appretti ma anche al concetto di emulsione: che è una cosa abbastanza comune (basti pensare alla maionese) ma difficile da descrivere in poche righe. Si può tentare una sintesi dicendo che olio e acqua non si mescolano tra di loro in condizioni normali, ma facendo un’emulsione olio e acqua riescono a stare insieme. Uno dei prodotti che possono rendere stabile un’emulsione è appunto l’uovo; nell’industria alimentare si usano molto anche le lecitine, ma qui conviene fermarsi perché il discorso si farebbe molto complicato. (Inutilmente complicato, mi verrebbe da dire...)
nelle foto, da wikipedia o da vecchi libri e riviste: Lucio Fontana al lavoro, i baffi di Lucio Fontana, alcune operatrici addette alla produzione di caseina, e un magnifico esemplare di Lepisma saccharina, detto anche "pesciolino d'argento", un insettino molto comune che si mangia le colle dei libri.
(continua)

mercoledì 8 agosto 2012

Trementina

“Colori a olio” è un’altra di quelle frasi che, da bambini, lasciano molto perplessi: ma l’olio quello che si mette nell’insalata? Quello del pane all’olio?
Una buona risposta potrebbe essere questa: “in teoria, sì.” Nulla vieta di usare l’olio di oliva o di girasole, o magari lo strutto; servono comunque oli essiccativi, che non rimangano fluidi. Questa qualità si ottiene per esempio con la cottura, e non tutti gli oli vanno bene. La realtà era però spesso l’utilizzo di oli non commestibili, o magari non buonissimi di sapore; per esempio quello ottenuto dai semi di lino. L’olio di lino cotto è stato l’ingrediente principe di tutte le vernici, fino a non molti anni fa; ne parla in modo piacevole e molto chiaro il dottor Primo Levi (dottore in chimica, ed esperto di vernici) in un racconto intitolato “Cromo”, che si trova nel volume “Il sistema periodico” (ed. Einaudi). Si può ricordare, per chi si fosse distratto, che ancora oggi il lino viene coltivato come eccellente fibra tessile; i suoi semi quindi erano facilmente reperibili.
www.wikipedia.it  :
Nella pittura a olio la novità nella tecnica era costituita dal legante, che invece di essere l'acqua o l'albume (tempera), oppure altro ancora, era un olio. Si utilizzavano sia gli oli comunemente detti (olio di lino, olio di noce, olio di papavero e, raramente, olio d'oliva), che gli oli essenziali (trementina, essenza di rosmarino). I secondi, sebbene più costosi, garantivano una materia più fluida e trasparente, più adatta alle velature e meno soggetta all'ingiallimento.
Il legante più diffuso è l'olio di lino. Questo viene utilizzato crudo nella preparazione e nella miscelazione dei colori, talvolta con additivi siccativi. L'olio di lino cotto, dal colore giallo paglierino intenso, pur asciugando più rapidamente dell'olio crudo e permettendo così tempi più rapidi di esecuzione, ha lo svantaggio di ingiallire sensibilmente le tinte. (...)
La tecnica ad olio permette di ottenere una impareggiabile brillantezza del colore, ma per evitare fastidiosi effetti di rifrazione, causati appunto dalla lucentezza dell'olio, nei musei o negli ambienti frequentati dal pubblico si usa predisporre un'adeguata illuminazione ambientale.
Molto usate erano anche le resine delle conifere: pini, larici e abeti ne davano in abbondanza. Il contenuto di queste resine è all’origine di una delle definizioni che ancora oggi fa confondere i giornalisti e tutti quelli che non hanno studiato la chimica organica: “idrocarburi aromatici”. In realtà, i composti aromatici possono anche essere inodori, ma è nelle resine delle conifere che molti di loro furono isolati e riconosciuti per la prima volta, e il nome è rimasto. Il discorso sui composti aromatici sarebbe molto complesso e non lo inizio neppure, ma solo per curiosità porto qui qualche formula: il trionfo dell’esagono, verrebbe da dire - e già immagino cosa ne diranno i chimici di passaggio, ma rimando il discorso a un altro momento. Per i curiosi, un esagono da solo è il benzene, due esagoni attaccati per un lato è la naftalina (naftalene, per essere precisi). Tre esagoni è l’antracene (stessa origine del carbone detto antracite), eccetera eccetera.
da www.wikipedia.it
La trementina (dal greco terebinthos, un albero (il terebinto) dalla cui linfa la trementina era originariamente distillata) è un'oleoresina fluida, chiara, volatile, ottenuta tramite procedimento di incisione da alberi appartenenti alle conifere; l'incisione può essere fatta o nella pianta viva, oppure nel durame di una pianta morta. Contenenti in misura maggiore terpeni, alcooli superiori e acidi resinici, queste resine prendono la forma del recipiente che le contiene, nonostante siano solide a temperatura ambiente; inoltre esse hanno un'alta solubilità nella maggior parte dei solventi organici così come in alcool. In gergo la trementina liquida che trasuda dagli alberi viene chiamata gemma, mentre quella indurita barras e gallipot. Dalla trementina si estraggono principalmente: 1) l'essenza di trementina 2) la colofonia 3) gli oli essenziali, contenenti l'α-pinene, isomericamente diverso a seconda della locazione delle piante da cui proviene la trementina; in particolare levogiro per quelle europee, destrogiro per quelle americane. La composizione è varia; per il pino mediterraneo è la seguente: α-pinene (circa 95%) sesquiterpeni (circa 3-4%) DL-bornilacetato
Tipi di trementina: trementina di Borgogna (dall'abete rosso) trementina di Strasburgo (dall'abete bianco) trementina di Venezia (o trementina veneta, dal larice comune) trementina italiana (dal pino marittimo o da quello domestico)
Si conoscono quattro metodi di estrazione dell'essenza di trementina, a seconda di quale parte dell'albero si usa per ottenerla: quella della resina, in cui la quantità di essenza di trementina si attesta al 25%, che viene estratta al vapore dall'essudato di pino; quella del legno, che può essere estratta tramite solventi dai durami del tronco lasciati fermentare una quindicina d'anni; quella dei rami secchi o del tronco, ottenuta fornendo calore; quella della polpa di legno, nell'industria della carta quando si separa la porzione resinosa dalla polpa.
La trementina bolle tra i 155° e 170° ed ha una densità compresa tra 0,85 e 0,87 g/cm cubo. È incolore, ma ha un odore penetrante, dovuto anche alla sua elevata evaporazione. Si tratta di un prodotto infiammabile, nocivo per ingestione, inalazione e contatto cutaneo; esso è altresì tossico per gli organismi acquatici, mentre è ancora dubbio il suo potenziale effetto cancerogeno. (...)
La diluizione del colore avveniva in passato principalmente con trementine naturali (distillate ad esempio da gemme di pino o fiori di lavanda) per gli strati più magri, mentre gli olii erano utilizzati per quelli più grassi. Non va però dimenticato che nell'antichità spesso l'artista utilizzava un proprio 'medium', termine con cui si definiva un particolare diluente stabilito dal pittore, nella cui ricetta oltre l'olio entravano resine quali la mastice o l'ambra, oppure la cera o il litargirio. Oggi vengono utilizzati in prevalenza solventi quali l'acquaragia sintetica. Di norma, la stesura avviene ancora oggi, come in passato, 'a pennello'; i pennelli sono solitamente in setola animale (cinghiale, tasso, cammello, etc.).
Ho dato un’occhiata alle etichette dei prodotti tipo acquaragia o trementina venduti nei negozi e nei supermercati: ormai si tratta quasi sempre di sostanze di origine petrolifera, ottenute dalla distillazione del catrame o della nafta. La formula chimica non cambia, i composti sono gli stessi ma ottenuti in un altro modo; vale la pena di ricordare che il petrolio è in gran parte di origine vegetale, conifere comprese.
Una realtà che purtroppo occorre sottolineare è che i composti aromatici della chimica organica sono spesso cancerogeni: quando si dice “benzene” riferito ai gas di scarico delle automobili si intende in realtà un’enorme quantità di composti e non solo il benzene. Questo non significa che sia pericoloso maneggiare la trementina o l’acquaragia, basta prendere le normali precauzioni, stare all’aria aperta, non respirare direttamente dalla bottiglia, non bersi la trementina (!!!), eccetera. Insomma, leggere l’etichetta e tenere bene a mente cosa c’è scritto, compresa la dicitura “infiammabile”.
Il vero pericolo sta spesso nelle cose che sottovalutiamo, o delle quali non vogliamo parlare. Per esempio, è di questi giorni la notizia che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito nella lista delle sostanze cancerogene i fumi dei motori Diesel; stessa sorte avranno, prima o poi, i gas di scarico di qualsiasi automezzo o motocicletta. La composizione delle benzine è nota a tutti, prima o poi qualcuno smetterà di far finta che il problema non esiste. Ma per adesso non ne parla nessuno, censura totale. Chi ne parla, diventa subito antipatico. Perciò smetto subito anch’io, mi autocensuro e torno a parlare delle tele dei pittori – ma non oggi, domani o dopodomani.
nelle immagini, oltre alle formule chimiche del pinene, del terpene, e di altre cose che non c'entrano niente ma che mi sono divertito a mettere, ci sono un Van Gogh (girasoli) e due Rembrandt (la ronda di notte, e "Saskia con un fiore rosso". (Ovviamente, il van Gogh e i due Rembrandt sono parte della mia collezione personale, appesi qui in corridoio.)
(continua)

martedì 7 agosto 2012

Il Nero

Il bianco è il colore che riflette tutta la luce; il nero è il colore che la assorbe tutta. La luce bianca è data dalla somma di tutti i colori; il nero è assenza di luce. Probabilmente un fisico troverebbe molto da ridire su questa mia semplificazione (non è proprio così) ma di certo il bianco perfetto dell’ossido di Titanio deriva proprio da questa sua capacità riflettente.
Per un pittore, però, il nero è forse ancora più importante del bianco. Sulla provenienza del nero dei pittori, a parte la facilità di reperire il nerofumo, il catrame, le molte pietre nere, ho anche delle notizie decisamente inquietanti, queste:
dal documentario “L’ombra” di Werner Weick, TSI anno 2004
«Il nero, grasso e profondo, di tante tele antiche, proviene dalla triturazione e dalla riduzione in polvere di mummie egiziane prelevate dalle rive del Nilo e contrabbandate in Occidente. Questa polvere veniva anche ingoiata per curare le malattie del corpo e dell’anima che incutevano la paura della morte e della condanna eterna. All’inizio, era una medicina molto rara; ma con l’aumentare delle richieste nel 17mo e 18mo secolo nelle farmacie europee entrò una sterminata popolazione di mummie. Per i pittori, il “color di mummia”, succo pietrificato di umori e di sangue, era migliore di qualsiasi terra di Siena, e più prezioso dell’oro e del lapislazzulo. (...) Alcuni pittori, come il Tintoretto, mescolavano e macinavano ancora più sottilmente il “colore di mummia” aggiungendo altri ingredienti organici per dipingere le loro ultime opere, e fare così dei dipinti e di loro stessi un’arte e un nome eterni (...)» (dal documentario “L’ombra” di Werner Weick, TSI Televisione Svizzera Italiana, anno 2004)
C’è davvero di che spaventarsi: ecco dunque trovata l’origine di racconti come quelli di Poe o come “Il ritratto di Dorian Gray”, e delle leggende sui pittori che mescolavano ai loro colori sangue, unghie, capelli in una specie di magia nera. Non so di preciso quali siano le fonti di Weick (giornalista e scrittore, svizzero ticinese, autore di ottimi programmi e inchieste), ma la storia appare più che plausibile, e posso dire di aver visto in prima persona, in alcune farmacie storiche, antichi vasi farmaceutici con su scritto “mummia”. Ricordo che stiamo parlando del 1600 e del primo ‘700, la medicina moderna era ancora molto lontana.
Leggendo notizie come questa, viene anche da chiedersi come mai si continui a indagare sulla morte di personaggi famosi dei secoli passati: la medicina di prima della Rivoluzione Francese era davvero in questo stato, basti pensare alla pratica dei salassi - magari uno era anemico, il salasso gli dava il colpo di grazia. Spesso agli ammalati si somministrava il mercurio, e questo è purtroppo documentatissimo.
Devo confessare che da quando ho ascoltato questa storia non riesco più a guardare il nero dello sfondo di quadri famosi senza provare un brivido di freddo: sarà mica nero di mummia? Ma molto spesso il nero ha origini più sensate, per ottenere quel “nero, grasso e profondo” in fin dei conti basta molto meno, magari un po’ di pece o di catrame, la resina delle conifere... Per esempio, la mina di matita è grafite, e le matite possono essere più dure o più morbide anche senza ricorrere alle mummie. La grafite è un minerale a base di Carbonio, che si ottiene anche durante la produzione del coke, cioè nelle acciaierie (il coke è carbone opportunamente lavorato, l’acciaio è una miscela di Ferro e Carbonio).
Oggi il nero, come tutti i colori e i coloranti, è quasi sempre prodotto per sintesi chimica. I chimici del Novecento sono stati molto bravi, sono riusciti a montare e smontare quasi tutto l’esistente, almeno a livello molecolare. Manca solo la vita sintetica: ma dopo la recente mappatura completa del DNA, bisogna ammettere che manca davvero poco.
(nelle immagini, dall'alto: Giovanni Boldini, ritratto di Lady Colin Campbell; Tintoretto, autoritratto; un dipinto di Georges de la Tour; e qui sotto ancora il Tintoretto, ma da giovane)
(continua)

lunedì 6 agosto 2012

Piombo e Titanio: il Bianco

Il bianco dei colori e delle vernici oggi è quasi tutto biossido di Titanio, bianchissimo; ma il Titanio era un elemento sconosciuto fino agli inizi del ‘900, o comunque difficile da estrarre. In seguito, si è scoperto che era un elemento chimico tutt’altro che raro; e anzi il biossido di Titanio esiste anche in natura, sotto forma di roccia. Oggi è diventato normale parlare di biciclette in titanio (leggerissime e resistenti), di leghe di titanio sono fatte anche le protesi ortopediche, ma in passato non era così.
Il colore bianco dei pittori è stato per secoli un composto a base di Piombo, la biacca; l'unica alternativa era il carbonato di calcio, cioè la polvere di marmo.
da www.wikipedia.it
La biacca, o bianco di piombo, è un pigmento pittorico inorganico costituito da carbonato basico di piombo(II). Conosciuto ed utilizzato fin dai tempi più antichi, è stato l’unico bianco disponibile insieme al "bianco San Giovanni" (carbonato di calcio) fino al XIX secolo; in seguito, con l’inserimento in commercio del "bianco di zinco" (nel 1840 circa) e, nel XX secolo (1930 circa), del "bianco di titanio", il suo impiego è parecchio diminuito fino quasi a scomparire del tutto. Oggi viene usato esclusivamente da alcuni pittori particolarmente legati alla tradizione e, seppur raramente, in lavori di restauro. Il 19 novembre 1921, a seguito dell'intervento dell'Ufficio Internazionale del Lavoro, parecchi stati stipularono una convenzione (White Lead (Painting) Convention, 1921 (No. 13), "Convenzione n. 13 del 1921 sulla biacca”), che ne vieta definitivamente l'utilizzo. Questa convenzione fu ratificata in date diverse dai vari stati che la sottoscrissero. L'Italia la ratificò il 22 ottobre 1952. Stati Uniti d'America e Germania non l'hanno tuttora ratificata.
È un pigmento tossico a base di piombo, molto coprente e solubile in acido nitrico, la cui vendita sotto forma di polvere è ormai praticamente proibita da tempo in parecchie parti del mondo, particolarmente in Europa e Stati Uniti. Viene prodotto ancora da alcune ditte che però lo utilizzano per la fabbricazione di colori pronti (in genere ad olio), di solito mescolandolo al bianco di zinco allo scopo di limitarne l’intrinseca filacciosità e la tendenza a scurire, tipica di questo pigmento.
La biacca ha un residuo radioattivo misurabile con adeguati strumenti, che permette di stabilirne grossomodo l’età e che scompare del tutto dopo un periodo minimo di 160 anni. L’essiccazione è abbastanza veloce e produce un film molto elastico, di robustezza non raggiungibile con nessun altro bianco, che tuttavia tende a perdere di coprenza con il passare degli anni. Tende a scurire, a causa dell’azione delle tracce di acido solfidrico presenti nell’aria; inoltre ossidandosi si trasforma in ossido di piombo, di colore marrone. Questa tendenza all’incupimento è molto più evidente quando questo bianco è utilizzato con leganti magri (pittura murale, tempera, etc.) ed in presenza di umidità. Per quanto riguarda la tecnica ad olio il problema della sua alterazione nelle mescolanze è meno evidente che nelle tecniche ad acqua, in quanto le particelle di pigmento sono protette dal legante grasso e difficilmente entrano in stretto contatto tra loro. È in ogni modo buona norma evitare miscele con sostanze contenenti zolfo e suoi derivati, che in alcuni casi, in reazioni dovute all’acido solfidrico potrebbero produrre un annerimento progressivo e irreversibile (trasformandosi in solfuro di piombo). Nell’affresco, come in tutte le tecniche ad acqua, è un pigmento fortemente sconsigliato, anche per una marcata refrattarietà a mescolarsi omogeneamente con l’acqua. Se adeguatamente utilizzata e difesa dagli agenti atmosferici la biacca è resistentissima, come è possibile constatare dai quadri degli antichi maestri che se ne servirono con giudizio.
Nell'impiego come pigmento per opere d'arte, la biacca è stata denominata con nomi diversi a seconda dell'epoca e del luogo: Bianco d'argento; Bianco di Amburgo; Bianco di Kremniz; Bianco di Kremser; Bianco di Genova; Bianco di Londra; Bianco di Nottinghen; Bianco di piombo (in inglese White lead e in tedesco Bleiweiss); Bianco di Venezia; Bianco inglese; Bianco olandese; Cerussa (in francese Céruse); Cerussite; in spagnolo Albayalde, dall'arabo al-bayad, che significa "bianco, candore".
Wikipedia aggiunge qualche riga sulla nocività della biacca, ma è una voce che secondo me andrebbe rivista in alcune sue parti: «La biacca è nociva come tutti i composti a base di piombo ma a volte la sua pericolosità è descritta in termini esagerati. Si pensi che un grande maestro del passato come Tiziano Vecellio, che utilizzò esclusivamente questo bianco, si spense quasi centenario perché si ammalò di peste nera, e non per gli effetti tossici della biacca.»
Comunque se ne voglia parlare, il Piombo, sotto forma di sali o di ossidi (non il metallo in sè e gli oggetti in Piombo, ma quando si trasforma in qualcosa di solubile, che può entrare in circolo nel nostro corpo), è comunque un veleno: il fatto che Tiziano sia arrivato fino a novant’anni non significa molto, perchè tutti i grandi pittori avevano degli assistenti e non preparavano i colori da soli. Il momento pericoloso è infatto la preparazione dei colori, quando bisogna pestarli e macinarli, magari in grande quantità; il colore pronto da stendere, finito e diluito, è ovviamente meno tossico. La malattia che provoca l’intossicazione da Piombo si chiama saturnismo, e ne soffrivano soprattutto i benzinai a causa del Piombo Tetraetile che si metteva nella benzina per aumentare il numero di ottani. La benzina super non c’è più, ed è vietato mettere piombo nelle benzine; e i pittori possono dipingere tutto il bianco che vogliono senza esserne avvelenati. Almeno in questo, il mondo è migliorato.
Bianco è anche il gesso che scrive sulla lavagna nera: il gesso è solfato di calcio, la lavagna è una pietra nera che si chiama ardesia. Entrambi si trovano in natura: il gesso è molto comune, l’ardesia italiana viene da una cava che si trova a Lavagna, in Liguria. Il discorso sul bianco potrebbe continuare con gli sbiancanti per i tessuti: candeggina, perborato, acqua ossigenata, candeggianti ottici. Ma finirei con l’andare fuori tema, bisognerebbe uscire dal discorso dei pastelli e dei colori per i pittori, perciò rimando a un’altra occasione.
PS: sul Titanio c’è un bel racconto di Primo Levi, breve e molto simpatico, che parla proprio del colore bianco. Si trova nel volume di racconti intitolato “Il sistema periodico” (ed. Einaudi), dove c’è anche una lunga storia (molto più impegnativa) dedicata al Piombo.
nelle immagini: un dipinto di inizio '900 di Frank Weston Benson (inglese o americano?), due disegni di Erté, un famoso dipinto di Francesco Hayez del 1851, e la copertina completamente bianca di "Welcome" dei Santana: il titolo del disco è stampato in rilievo, se si guarda con attenzione si vede. (Purtroppo, nelle successive ristampe "Welcome" è stato scritto con l'inchiostro...)
(continua)

sabato 4 agosto 2012

Blu di Prussia

Continuando il discorso sui colori dei pittori, sulla loro composizione chimica e origine, e sui veleni di cui spesso sono composti, dopo il Rame e il Cromo è arrivato il momento del più terribile di tutti i veleni: il cianuro, componente chimico del Blu di Prussia.
Il cianuro non è un Elemento chimico, ma è un composto di Carbonio (simbolo chimico C ) e Azoto (Nitrogenum, simbolo chimico N). E’ un radicale chimico, che da solo non può esistere: esiste come acido cianidrico HCN o come sale, cianuro di sodio NaCN o cianuro di potassio KCN, e in molte altre combinazioni un po’ meno letali. Va comunque detto che, cianuro o non cianuro, i colori non si mangiano; ed è anche bene non metterseli sulla pelle senza prima essersi informati sulla loro composizione chimica. Anche i colori vegetali non è detto che siano del tutto innocui: basterà pensare all’ortica, alla cicuta, alla reazione allergica che alcune persone provano con le melanzane o pelando le patate, eccetera.
Questa è comunque la definizione precisa del Blu di Prussia:
da www.wikipedia.it  :
Il blu di Prussia (In tedesco Preußisch Blau, noto anche come Blu di Berlino) è un pigmento blu scuro usato nelle vernici e un tempo nei disegni tecnici. Venne scoperto casualmente a Berlino nel 1704 da Diesbach e Dippel. Ha diversi nomi chimici, tra cui: ferrocianuro ferrico, ferricianuro ferroso, esacianoferrato(II) di ferro(III), esacianoferrato(III) di ferro(II), e esacianoferrato ferrico. Il blu di Prussia è un colore intenso e tende verso il nero o il viola scuro quando viene mischiato con altri colori ad olio. (...) il nome deriva da motivazioni storiche più che da connotazioni di solubilità. (...) Si ottiene per reazione tra il ferrocianuro di potassio e ioni di ferro(III); il colore è talmente intenso e caratteristico da rendere questa reazione adatta per il rilevamento del ferro o dei cianuri.
Il blu di Prussia può essere utilizzato anche da agente chelante e nel trattamento per l'avvelenamento da metalli pesanti. In particolare, viene usato per i pazienti che hanno ingerito cesio o tallio radioattivi (o anche per il tallio non-radioattivo).
Il blu intenso del blu di Prussia è causato dal trasferimento di elettroni da un atomo di ferro ad un altro all'interno della molecola. Viene assorbita luce a 680 nm (rosso), provocando il trasferimento di un elettrone da un atomo di Fe(II) a uno vicino di Fe(III). La luce trasmessa risulta blu.
Nonostante la presenza dello ione di cianuro, il blu di Prussia, come altri ferrocianuri, non è particolarmente tossico a causa del forte legame tra gli ioni di cianuro e di ferro. Comunque, se trattato con acidi forti concentrati può liberare il cianuro in forma di cianuro di idrogeno (più noto come acido cianidrico), che è estremamente tossico.
Un po’ rassicurati, si può dunque andare avanti a dipingere tranquillamente. Da chimico, posso ancora dire che la “reazione adatta per il rilevamento del ferro o dei cianuri” me l’hanno insegnata a scuola, si formano dei solfocianuri molto belli, non solo blu ma anche rosso (dipende da cosa si vuole cercare durante l’analisi).
La dizione “agente chelante” usata nel testo di wikipedia significa che la molecola del Blu di Prussia ingloba il cesio e il tallio, sottraendoli all’organismo e rendendo più facile smaltirli: “chelante” va infatti riferito alle chele dei granchi, la molecola del colorante avvolge il cesio o il tallio proprio come se fosse una pinza – la grafica è molto chiara ma non porto qui le formule chimiche perché si complicherebbe troppo il discorso. E’ comunque un discorso interessante, perché sono molte le molecole “chelanti”, tra le quali rientrano anche alcune delle sostanze usate come anticalcare nelle lavatrici (non il Blu di Prussia, ovviamente!).
Qualcosa di simile accade anche con l’emoglobina del sangue, una molecola che ingloba un atomo di Ferro. Dato che il Ferro dà colorazione rossa, ecco un’altra nozione sui colori che ci circondano: il colore del sangue è dovuto al Ferro.
E’ interessante anche l’ultima parte del testo che ho preso da wikipedia, dove si parla degli elettroni e della luce che viene emessa passando da un atomo all’altro: questa è la spiegazione esatta dei colori che vediamo in Natura, ma per entrare nel merito bisognerebbe parlare dei quanti di energia, di Max Planck, della struttura atomica, della struttura delle molecole...
Insomma, dato che io non sono la persona più adatta per parlare di questi argomenti (bellissimi, peraltro) è meglio tornare ai colori dei pittori: dalla scatola dei pastelli da cui ero partito mi manca ancora qualcosa, di sicuro mi mancano il bianco e il nero.
le immagini: gli elmi prussiani vengono da un vecchio libro di scuola, Moebius a Venezia era sul mensile Alterlinus nel 1984, la principessa prussiana risale al 1905 e viene da www.mudwerks.tumblr.com , la Pimpa è ovviamente quella di Altan.
(continua)

venerdì 3 agosto 2012

Lapislazzuli

In laboratorio, i reagenti e i sali di uso comune sono quasi tutti bianchi: esattamente come il sale da cucina, il bicarbonato e la soda solvay che si trovano nelle nostre case. Magari variano la forma e la consistenza delle polveri o dei cristalli, ma è comunque il colore bianco a dominare. Anche lo Iodio, che di per sè è colorato, dà sali bianchi: come lo Ioduro di Potassio ( formula chimica KI ) che viene normalmente aggiunto al sale da cucina per ottenere il sale iodato. Ci sono però molte eccezioni, soprattutto per il Cromo e il Rame: i sali di cromo sono giallo-arancio, i sali di rame sono azzurri o verdi. In Natura, le cose vanno diversamente: le rocce e i minerali sono di infinite forme e di molti colori, ed è qualcosa che tutti possiamo constatare (anche in gioielleria, of course). Questa enorme varietà di colori è dovuta al fatto che in Natura si sono verificati fenomeni impossibili da ripetere in laboratorio: alla formazione delle rocce hanno contribuito altissime temperature e altissime pressioni, cose inimmaginabili per noi umani. Di conseguenza, gli Elementi della Tavola Periodica si sono combinati in tutte le maniere possibili: la geologia e la mineralogia hanno classificato centinaia di minerali diversi in combinazioni sempre diverse, ognuna con forme differenti e colori differenti. Il discorso è quindi molto complesso; cercherò comunque di scriverne qualcosa meglio che posso.
Nei colori dei pittori, come per esempio in Giotto, l’azzurro è quasi sempre il lapislazzulo: nome strano e forse anche ridicolo, ma che si scompone facilmente in “lapis” (pietra: lapide, lapilli, mina di matita) e “lazulum”, deformazione latina della parola arabo-persiana che indica il colore che noi oggi chiamiamo azzurro.
da www.wikipedia.it :
Il lapislàzzulo è di colore azzurro intenso prevalentemente (ma ne esistono anche campioni di colore più vicino al celeste, a seconda della quantità di calcite), e da questo deriva il suo nome, composto dal latino lapis (pietra) e lazuli, genitivo del latino medioevale lazulum, derivato dall'arabo (al-)lazward, a sua volta dal persiano lāzhward che significa appunto "azzurro". Lo stesso termine "azzurro" deriva da lāzhward, con la perdita della L iniziale, assimilata con la lam dell'articolo determinativo arabo.
Il lapislazzuli è una roccia e non un minerale perché è composto da diversi minerali (prevalentemente lazurite, pirite e calcite). Il Lapislazzuli si trova in giacimenti soprattutto in Afghanistan (Miniera di Sar-e-Sang, in Badakhshan, citata anche da Marco Polo), Cina e Cile. È presente anche in alcune effusioni dei vulcani campani e laziali.
Parlare di lapislazzuli significa occuparsi anche del Blu Oltremare.
da www.wikipedia.it  :
Il blu oltremare è un pigmento inorganico di colore blu. Noto sin dall'antichità è un silicato di sodio e alluminio con inclusioni di solfuri e solfati; in altri termini è un calcare mineralizzato contenente dei cristalli cubici di lazurite. (....) In natura si trova una composizione simile nel lapislazzuli, una pietra semipreziosa che fino al XIX secolo, attraverso una costosa e lunga lavorazione, era utilizzata per la sua produzione. Tale pigmento si identifica oggi come oltremare genuino. Il nome blu oltremare deriva dal fatto che il lapislazzuli veniva estratto principalmente in Oriente e dai porti del vicino oriente (Siria, Palestina, Egitto) arrivava in Europa; da qui Oltremare, nome che questi territori avevano in epoca medievale.
Per un chimico, o per un agricoltore, il colore azzurro o verde-azzurro è legato soprattutto al Rame. Il cristallo del solfato di rame nelle scatole dei reagenti di laboratorio è infatti di un magnifico colore azzurro; il colore del verderame, usato in agricoltura contro i parassiti delle piante, è probabilmente ancora visibile nei vigneti, se avete la fortuna di abitare lì vicino.
Il solfato di rame è molto utile come esempio di ciò che succede in natura nella formazione delle rocce, e dei loro diversi colori: infatti, quando si forma la molecola di rame solfato ingloba al suo interno alcune molecole d’acqua. A seconda delle molecole d’acqua inglobate, cambia il colore del cristallo finale; probabilmente per un effetto specchio o prisma dell’acqua inglobata, ma io non sono un esperto di minerali e di più non saprei dire, mi conviene fermarmi qui. Nell’immagine qui sotto, presa da wikipedia, si vedono le due forme del rame solfato: anidro è bianco, ma basta aggiungere un po’ d’acqua per avere la colorazione azzurra. Ricordo solo che il rame e il cromo sono velenosi, e che ad essere pericolosi e causa di intossicazioni sono soprattutto i loro sali (solubili in acqua, e quindi assimilabili velocemente nel nostro corpo).
da www.wikipedia.it  :
Il solfato di rame o solfato rameico (...) esiste in forme diverse a seconda del grado di idratazione. La forma anidra è di colore verde pallido o bianco grigiastro, mentre la più comune forma pentaidrata è blu brillante. La forma anidra si trova in natura nella calcocianite, un minerale raro. Forme idrate si trovano in natura nel minerale calcantite (pentaidrata), e più raramente come bonattite (tridrata) e boothite (eptaidrata). Tra gli usi si cita l'impiego in agricoltura come concime CE o componente di alcuni anticrittogamici (fungicida rameico).
Questo fenomeno riguarda probabilmente anche il famoso rosso pompeiano: pare che in origine fossero ocra e azzurri, ma che le enormi temperature seguite all’eruzione del Vesuvio lo abbiano “cotto” fino all’attuale colore. Con la cottura, infatti, cambia la composizione chimica del pigmento e del suo supporto: non solo la natura stessa del pigmento, con nuove combinazioni dovute alla presenza nell’aria di zolfo per esempio, ma anche con la semplice eliminazione dell’acqua di cristallizzazione. Secondo Daniela Scagliarini dell’Università di Bologna (da Repubblica 8.2.2003), quello che invece era rosso nell’originale è virato fino al nero: ovviamente non in tutti i luoghi di Pompei, ma solo in quelli dove il calore è arrivato fino alle temperature più elevate, magari anche per via degli incendi. Però io non ho competenze precise sull’argomento, in questo momento non ho qui in casa testi di riferimento da citare e se anzi qualcuno mi indica dei libri da leggere su questi argomenti, ringrazio fin d’ora.
nelle immagini, oltre al frammento di lapislazzuli, Giotto, Melozzo da Forlì (l’angelo musicante) e Domenico Stanzione (Vergine col Bambino), un affresco di Pompei dalla “Villa dei Misteri”, le varie formule del solfato di rame, il verderame usato in agricoltura, e i cristalli di rame solfato pentaidrato: quasi tutto da wikipedia.
(continua)

giovedì 2 agosto 2012

Terra di Siena bruciata

Che cos’era, dunque, la Terra di Siena dei miei pastelli?
da www.wikipedia.it :
La terra di Siena è una gradazione del marrone e un pigmento inorganico usato in pittura. Si distingue in terra di Siena naturale e terra di Siena bruciata. Il pigmento terra di Siena naturale è noto anche come scyricum, sil pressum e terra d'Italia; quello terra di Siena bruciata come ocra romana pura. La terra di Siena è un marrone chiaro, anzi chiarissimo. I colori attualmente in commercio color terra di Siena sono ottenuti da miscele particolari di ossidi di ferro ed altri minerali brunastri. Il nome attribuito a questo colore ha evidente origine da un tipo di terra estratta in cava nella località Bagnoli di Arcidosso, nel territorio del Monte Amiata, facente parte della Repubblica di Siena in epoca medioevale, oggi inserita nella provincia di Grosseto. Tale cava, attiva fino agli cinquanta del Novecento, produceva un inerte che veniva utilizzato come colorante anche in tempi antichissimi, e che si denominava indifferentemente "terra rossa" "terra gialla" e anche "terra di Siena". La popolarità della "terra di Siena" deriva dall'uso che ne è stato fatto nell'arte toscana venendo citata nei principali trattati sule tecniche artistiche, da Cennino Cennini a Giorgio Vasari.
Già che ci siamo, metto anche la definizione precisa dell’ocra:
da www.wikipedia.it
Ocra è un colore dalle tonalità che variano dal giallo-oro al marrone chiaro. La parola "ocra" deriva dal greco "ώχρός" che significa "giallo". Il termine indica anche i pigmenti estratti da terre rosse e formati da varietà terrose di limonite (ocra gialla) e/o ematite (ocra rossa). In geologia si definiscono terre rosse alcuni suoli residuali, con presenza accentuata di frazione argillosa e calcarea. La terra rossa indica anche alcune varietà terrose di ossidi di ferro (in particolare ematite, limonite e goethite) estratte dai suddetti terreni ed usate usate come pigmenti coloranti (ocre, terra di Siena, terra d'ombra). I composti del ferro presenti nel suolo possono esistere in varie forme che mutano a seconda delle condizioni ambientali, in particolare della presenza di acqua (forma ossidata, di colore rosso, o in forma ossi-idrata, di colore giallino).
Le terre rosse si trovano tipicamente in regioni con clima mediterraneo. Fra le aree più note e sfruttate per l'estrazione dei pigmenti ocra sin dai tempi preistorici vi sono Cipro, e Roussillon in Francia. In Italia vi sono numerose zone con presenza di terre rosse, come ad esempio l'altopiano carsico. In paragone alle tipiche terre argillose le terre rosse hanno ottime caratteristiche di drenaggio. Gli ossidi di ferro che caratterizzano il colore delle terre rosse mutano tonalità a seconda delle loro condizioni ed è quindi possibile determinare con una certa approssimazione il grado di drenaggio dei terreni (un suolo giallo-bruno indica un terreno ben drenato, un suolo con colore grigiastro indica un cattivo drenaggio). Per questi motivi le terre rosse sono particolarmente indicate per la produzione di vino. Oltre ad alcune aree italiane sono note le aree geografiche spagnole della Mancha e di Coonawarra in Australia (dove si produce Cabernet Sauvignon e Syrah). La terra rossa battuta è anche utilizzata ed apprezzata (per le sue caratteristiche drenanti e di rimbalzo lento della palla) per i campi da tennis.
Oggi i colori per i pittori sono quasi tutti sintetici, ottenuti per sintesi chimica. Acrilici, si dice: ma anche questo è un termine che andrebbe precisato, "acrile" è solo un radicale un chimico, come vinile , un termine che alcuni usano per indicare i dischi microsolco. Per un chimico, “acrilico” o “vinilico” sono solo delle approssimazioni o delle abbrevazioni. Wikipedia spiega un po’ meglio: i colori nei tubetti oggi sono pigmenti dispersi in una resina acrilica. Vale a dire: non è l’acrilico che colora, di acrilico c’è solo il supporto che ha preso il posto dell’olio del tempo di Rembrandt e di Van Gogh.
Spiegare come si ottengono i pigmenti, e più in generale i colori e i coloranti industriali, è molto difficile e porterebbe via molto tempo; oltretutto necessitano solide basi di chimica organica, quindi mi permetto di sorvolare. Confesso però di aver studiato la chimica dei coloranti per l’industria tessile, in anni lontani (ho rimediato un bel po’ di brutti voti, la chimica è difficile e bisogna studiare tanto, impegnarsi); in proposito, a parte la bellezza delle molecole in sè, la cosa più impressionante è che gli intermedi per produrli sono quasi tutti cancerogeni. Il colorante finale, non è detto che lo sia; gli intermedi invece sì, e purtroppo ci sono stati molti episodi tristi riguardo la produzione dei coloranti, basterà pensare all’ACNA di Cengio (Cengio è in provincia di Savona) e ai suoi operai, ma ad ammalarsi sono stati davvero molti.
Tornando ai colori dei pittori, e al fatto che ormai siano tutti sintetici, una mia amica che dipinge mi ha raccontato un paio di anni fa questo episodio: si era rivolta a un’insegnante privata per avere nozioni di pittura a olio, pensando che fosse diplomata a Brera. L’insegnante le ha spiegato che non si era invece diplomata: si era stancata di frequentare perché pochi insegnavano veramente, e anzi un insegnante le aveva detto chiaro e tondo che “la pittura a olio non la usa più nessuno”. Il che è vero, non credo che Damien Hirst o Andy Warhol abbiano mai usato i colori a olio. Probabilmente i modelli dominanti, anche a Brera, non sono più Renoir e Van Gogh, ormai sono altri: spero che non sia così, io non dipingo e non frequento gli ambienti dei pittori, spero vivamente di essere smentito (ma c’è ancora qualcuno che usa carta e matita? qui tutti usano il computer, le apps per l’ipad, anche la matita temo che sia obsoleta...).

Di mio, dai tempi della scuola, mi ricordo ancora la formula dell’indaco: che è molto bella, simmetrica, facile da ricordare. Su richiesta, posso ancora metterla giù a memoria (almeno, spero!).

L’indaco vegetale è uno dei colori più antichi usati dall’uomo, prima ancora dei Faraoni, ce ne sono tracce di 4000 anni fa. Wikipedia mi ricorda che l’indaco è anche il colore dei turbanti dei tuareg, eccolo qua:
il dipinto in alto è del Vasari; le immagini di Siena e dintorni vengono da wikipedia (una foto però è firmata, forse viene da un altro sito)  così come la formula chimica dell'indaco e la foto del tuareg (io direi che è un attore, però)

mercoledì 1 agosto 2012

I colori dei pittori

Da bambino, i nomi dei pastelli mi sembravano strani e attraenti, a volte perfino scandalosi: “blu oltremare”, “terra di Siena bruciata”, mi sentivo preso in giro. Come si fa a dare quei nomi a un pastello, a un colore? Gli altri pastelli avevano dei nomi normali, verde chiaro, verde scuro. Già la presenza del pastello bianco era una cosa strana (il pastello bianco sul foglio bianco?), ma poi, quei nomi: perché mai la terra di Siena e non quella qui sotto casa, cos’ha di differente? E perché poi “bruciata”, come si fa a bruciare la terra?
Ovviamente, nessuno mi sapeva dare le spiegazioni giuste: gli adulti non si pongono questi problemi, hanno altro a cui pensare. E, anche se avessi trovato le spiegazioni giuste (che nei libri, a saperle cercare, c’erano), difficilmente le avrei capite: pestare e tritare le pietre? Ma i colori non sono nei tubetti, nei pastelli, nelle scatole delle vernici? A che scopo tritare le pietre, e perché poi bruciare la terra, per di più quella di Siena?
Le risposte le avrei trovate molti anni più tardi, intorno ai sedici anni, studiando chimica. In particolare (si torna sempre lì), le risposte sono nel Sistema Periodico, la Tavola Periodica degli Elementi ideata e abbozzata da Mendeleev a metà Ottocento, e poi completata dai chimici negli anni successivi. Già nel Settecento, il grande naturalista Linneo (Carl von Linné, svedese) era riuscito nell’impresa di dare un nome a tutti gli animali e a tutte le piante, ma con i minerali non c’era riuscito: l’aspetto esteriore, forme e colori, qui non bastava. Per fare una classificazione seria dei minerali gli mancava proprio la Tavola Periodica degli Elementi, che sarebbe arrivata solo molti decenni dopo la sua morte.
Come Linneo, anche gli antichi preparatori di colori non avevano nozioni sufficienti per dare un nome preciso ai minerali che usavano, e quindi gli davano nomi di fantasia, quasi sempre molto belli: blu oltremare, terra di Siena, terra di Siena bruciata. Molti questi minerali erano costosi, per esempio l’azzurro se lo potevano permettere solo i pittori affermati; e poi c’era un gran lavoro dietro, rompere pestare e tritare i minerali comperati o recuperati con personali ricerche quando erano disponibili nei dintorni.
Molti di questi minerali contengono sostanze velenose; tra i pittori, e tra i loro collaboratori, sono infatti stati molto frequenti gli avvelenamenti. Lentamente, ma costantemente, il minerale penetrava nella pelle e nelle narici di chi pestava, martellava, rompeva, tritava e poi preparava le polveri colorate per la pittura, aggiungendo fissanti, oli, stucco, acqua, e altro ancora.
Insomma, dietro ai capolavori di Giotto, Leonardo, Raffaello, Michelangelo, c’è sempre questo gran lavoro di ricerca dei minerali, di acquisto dei colori (i lapislazzuli, l’azzurro costosissimo, veniva quasi tutto dall’Afghanistan e dalla Cina); e tutto questo senza contare il lavoro di muratore (stendere gli intonaci per gli affreschi) o la preparazione delle tele per la pittura, molto complessa (oggi le tele per i pittori sono vendute già pronte per l’uso). Anche gli scrittori molto spesso si facevano gli inchiostri da sè: non solo si scriveva con le penne d’oca, ma l’inchiostro si poteva fabbricare in casa (con la carta, tutto era molto più difficile). Emilio Salgari usava un metodo antico e collaudato, le galle che un insetto provoca sulle piante; Eduardo Galeano (Le labbra del tempo, pag.128) dice che i semi dell’avocado danno un ottimo inchiostro. Il metodo più veloce, soprattutto per l’inchiostro nero, consisteva però nella diluizione del nerofumo, prodotto della combustione di legna e carbone usate per il riscaldamento.
Le cose cominciano a cambiare nell’Ottocento, e Jean Renoir ha inserito questo suo ricordo personale in un suo libro di cinema:
Le scoperte artistiche sono praticamente la conseguenza diretta di scoperte tecniche. L'esempio a parer mio più vistoso di questo fenomeno è, in pittura, la rivoluzione impressionista. Prima dell'impressionismo i pittori utilizzavano colori contenuti in ciotole. Erano recipienti difficili da trasportare. I colori si rovesciavano e questo rendeva il lavoro fuori dallo studio poco pratico. Quando si ebbe l'idea di mettere i colori in tubetti facili da chiudere con dei tappi a vite, i pittori di quella giovane scuola poterono trasportare i colori e lavorare direttamente dal vero. Naturalmente la rivoluzione impressionista esisteva innanzitutto nello spirito dei pittori, ma non avrebbe potuto manifestarsi in quel modo se gli artisti non avessero potuto trasportare i colori nella foresta di Fontainebleau. Pur senza avere le ripercussioni che ebbero i colori in tubetto per la pittura, l'uso della pellicola pancromatica rappresentò per il cinema una tappa di incomparabile ricchezza. La maggior parte dei capolavori dello schermo sono stati girati in bianco e nero su pancromatica. (...)
(Jean Renoir, da “La mia vita e i miei film”, ed. Marsilio, pag.56)
Jean Renoir, forse vale la pena di ricordarlo, è stato uno dei più grandi autori di cinema del Novecento, ed è figlio di Auguste Renoir, uno dei più grandi pittori dell’Ottocento. L’argomento qui è il cinema in bianco e nero, gli inizi del cinema e le prime pellicole cinematografiche.
Nelle immagini: Michelangelo, il profeta Geremia; una scatola di colori del 1924 (da http://mudwerks.tumblr.com ); Jean Renoir padre e figlio (il bambino è proprio Jean Renoir, i fotogrammi vengono da "Il fiume"); et infin, Kamillo Kromo di Altan.
(continua)