domenica 4 marzo 2012

Saggio alla fiamma

Che il fuoco abbia colori diversi, è un’osservazione abbastanza comune. Le fiamme non hanno sempre lo stesso colore: si va dal giallo-rosso del fuoco di legna fino all’incolore-azzurrino del fornello a gas, e sono solo i due tipi più comuni: basta aver visto una volta i fuochi d’artificio per rendersi conto della grande varietà di colori che si possono ottenere. Da qui a chiedersene il motivo, il passo è breve; e, come capita spesso, c’è chi da queste minime osservazioni quotidiane è riuscito a ricavare qualcosa di utile.
Per esempio, è facilissimo osservare che la fiamma del gas sul fornello di casa diventa gialla se scivola fuori qualcosa dalla pentola: il giallo è il colore del Sodio, uno degli elementi più comuni che si possano trovare in natura. Basterà pensare al sale da cucina: il suo nome preciso è “cloruro di sodio”, e dunque il sodio nell’acqua degli spaghetti ce lo avete messo proprio voi. L’altro colore che si può notare, più vicino al violetto, è quello del Potassio: altro elemento comunissimo in natura, presente nelle verdure, per esempio. Se invece mettete un filo di rame sul fornello, la fiamma diventerà verde.
E’ da queste minime osservazioni che nasce uno dei metodi d’analisi più semplici e immediati, uno dei primi a essere insegnato a scuola nelle ore di laboratorio: il saggio alla fiamma, che permette di riconoscere velocemente alcuni degli elementi più comuni in natura. (l’illustrazione qui sotto viene da uno dei miei libri di scuola, edizioni Atlas anno 1975).
Non si tratta però di una teoria semplice da spiegare, perché si tratta della struttura degli atomi; ed è una teoria che riguarda anche i colori delle cose che vediamo intorno a noi.
Dato che la luce è anch’essa una forma di energia, e che può scaldare come il fuoco, penso che l’analogia sia molto facile da capire. Gli oggetti intorno a noi, gli alberi, l’erba, il vetro, il cemento, interagiscono in modi diversi con la luce, riflettendola o assorbendola. Da questa interazione, dall’assorbire o dal riflettere la luce (energia) nascono i colori.
A questo punto penso che sia necessario mettere qui la definizione scientifica di “spettro”: che sembra complicata (e lo è), ma basterà pensare all’arcobaleno, o alle iridescenze di una pozzanghera, per superare le difficoltà lessicali. Dalla Garzantina della chimica: «Spettro: suddivisione nelle varie componenti di una radiazione elettromagnetica emessa da una sorgente, così definita per analogia con la scomposizione ottica di un raggio di luce solare (bianca) nei singoli colori componenti. (...)» Queste sono solo le prime righe di una voce che va avanti per molte pagine, e che comprende le analisi spettroscopiche, la spettrofotometria, eccetera. Nelle lampadine a incandescenza la sorgente è un filamento di Tungsteno, stavolta un elemento non comunissimo ma che dà una radiazione molto vicina alla luce solare, quindi a noi ben accetta.
Ragionando in termini storici, è proprio da queste osservazioni sui colori che nascono le prime riflessioni che porteranno alla struttura dell’atomo, alla scoperta degli elettroni, alla teoria dei quanti e alla fisica moderna. E’ con questi sistemi di spettroscopia che si riesce a capire la composizione del sole e delle stelle più lontane: ovviamente l’analisi si fa con strumenti molto più sofisticati di un accendino o di un fornello. Dal colore della luce del sole, per esempio, si può risalire all’Elio. In laboratorio, queste analisi si fanno con un filo di platino montato su una bacchetta di vetro: il platino è molto resistente e non interferisce con la radiazione. Si tratta di un metodo d’analisi oggi ovviamente superato, e che funziona solo con un numero di elementi molto limitato, ma che spero venga ancora insegnato a scuola perché dà l’idea del mondo in cui viviamo in modo certamente migliore rispetto alle tecnologie più avanzate, per le quali il più delle volte basta introdurre il campione e premere un tasto, e poi la macchina fa tutto da sola. Si fa prima, è più comodo, non ci si sporcano le mani e il risultato è molto più preciso: ma, così facendo, si finisce con l’essere anche un bel po’ fuori dal mondo reale, che è fatto di odori, di colori, di sensazioni tattili – e perfino di sapori, perché c’è ancora chi, semplicemente assaggiando la terra, vi sa dire di che cosa è composta, se è acida o basica, cosa ci si può coltivare, eccetera. Lo si faceva una volta, oggi non lo consiglierei a nessuno: le cronache recenti ci hanno purtroppo spiegato che nella nostra terra sono stati versati a tonnellate i rifiuti tossici. Qui in Lombardia, ed è ben triste doverlo dire, è finito in carcere per queste cose il vicepresidente della Regione, che è del partito di Formigoni e che si chiama Nicoli Cristiani: l’accusa (le indagini sono ancora in corso) è di aver messo i rifiuti tossici sotto i cantieri stradali, nelle fondamenta di edifici, eccetera. Quindi viene da dire, a conclusione, che se volete fare un saggio alla fiamma e vedere tutti i colori possibili è sufficiente prelevare un campione ai margini di una qualsiasi strada o cantiere, di un ospedale o di casa d’abitazione: è possibile trovarci qualsiasi cosa, dall’uranio (magari quello “impoverito” delle pallottole militari) fino allo iodio e, se siete fortunati, anche il cesio radioattivo. Non è una gran battuta, lo so: e mi dispiace terminare il post in questo modo, ma i tempi che viviamo sono questi, e anche scrivendo su un piccolo blog non mi è sempre possibile sfuggire dalla realtà.
(l’immagine del prisma sulla copertina di “The dark side of the moon” dei Pink Floyd mi ha richiamato altre due copertine molto belle, una di John Martyn, “Solid air”, e l’altra di Peter Green, “The end of the game”: non c’entrano molto con quello che ho scritto, ma sono sempre belle da vedere) (dei tre dischi, il mio preferito è quello di Peter Green)

7 commenti:

giacy.nta ha detto...

Grazie per questi post ( mi riferisco anche al penultimo ) :)

Vado ad ascoltare Peter Green, non lo conosco.
La copertina di "Solid air" è bellissima, hai ragione.
:)

Giuliano ha detto...

non è un disco facile...Peter Green era uno dei grandi chitarristi di John Mayall, negli anni '60, tra Clapton e Mick Taylor, Bluesbreakers.

giacy.nta ha detto...

Non sono un asso in nessun campo e neanche nel ricordare i nomi. Mi sono accorta che P.G. ha fondato i Fleetwood Mac ( che conosco; ho un Lp, Roumors ).

In questi minuti ho guardato anche un po'il tuo archivio. Il tag "musica del Novecento" è un vero regalo. :)

giacy.nta ha detto...

scusa, Rumours.

Dagli al refuso!:)

Giuliano ha detto...

molti sono miei pareri personali, piccoli ritratti... non ho ancora trovato il nome giusto per l'altra cartella di musica, musica dell'800 non va più bene e dovrei cambiarlo.
Il disco di Peter Green l'avevo comperato (usato, allora si poteva e si faceva) per la copertina, che è bellissima anche dietro; poi ho scoperto che mi piaceva molto.

Grazia ha detto...

Bello arrivare qui stasera e trovare tanto da imparare sui colori ( e io sui colori in qualche modo ci lavoro) e sulla musica nei commenti tuoi e della carissima Giacinta.Mi sembra di essere in quelle belle serate di chiacchiere che mia mamma chiamava, alla toscana, " le veglie" in un mondo senza televisione e dove ci si ascoltava davvero.E mi piace ritrovare questa atmosfera nel mondo di internet e dei blog.Chi l'avrebbe mai detto,
Un saluto

Giuliano ha detto...

sui colori in pittura si potrebbe aprire tutta una serie, ma non è un argomento che ho davvero studiato, dovrei fare qualche ricerca... Si tratta di mineralogia, prima di tutto: posso dirti che molti colori sono velenosi, perché i colori belli li danno il cromo, il rame, il piombo, tutti velenosissimi. Si pensa che molti pittori siano morti per questo.
Grazie per il commento! Mi piacerebbe molto mettersi davvero a chiacchierare e scambiarsi le reciproche competenze.
:-)