venerdì 15 luglio 2011

Pubblicità 21

- Barbognati! – dice la signora vicina a me; e io penso che non si chiama il prosciutto per cognome, e che questa signora con una sola parola ha dimostrato tutta la sua incompetenza in fatto di salumi.
Questa signora non è purtroppo l’unica a ignorare che Parmigiano-Reggiano e Prosciutto di Parma non semplici semplici marchi commerciali o nomi di fantasia, che non è vero che uno vale l’altro, e che dietro a questi due marchi famosi ci sono norme di produzione molto rigide e severe, che salvaguardano in primo luogo la qualità e poi – di conseguenza – anche la nostra salute. In Italia ci siamo salvati dal morbo della mucca pazza anche per questo, perché le nostre mucche mangiavano fieno e non mangimi strani come in Gran Bretagna o in Germania.
Detto in estrema sintesi: nel consorzio del Parmigiano-Reggiano (che copre un’area vasta ma non vastissima) per avere il latte buono le mucche non possono mangiare altro che il loro cibo naturale, vale a dire il fieno d’inverno e l’erba dei pascoli nel resto dell’anno. Un po’ meno restrittivo è il consorzio del Grana Padano, ma anche qui la qualità è garantita: per i dettagli, si possono consultare i siti dei rispettivi consorzi. Dietro al marchio Parmigiano-Reggiano o al marchio Grana Padano, o Prosciutto di Parma, o magari Prosciutto di San Daniele (che è in Friuli), non ci sono multinazionali o singole persone, ma molti allevatori che si sono impegnati a garantire una qualità alta o altissima. L’impegno è costante, e dura ancora oggi: non so se in futuro arriverà qualche manager fininvestiano o thatcheriano o bocconiano a spiegare che invece bisogna adeguarsi e ridurre i costi, o se anche l’Emilia verrà ricoperta di cemento e villette come la Lombardia (a Parma siamo già a buon punto), o se passerà la TAV in mezzo alle vigne, ai pascoli e ai frutteti (molto probabile), però per adesso in Italia ci sono ancora molti di questi consorzi, e direi che dobbiamo imparare a goderceli e tenerceli stretti. Invece no, basta un po’ di martellamento pubblicitario in tv, ed ecco che la gente non compera più il Prosciutto ma il babignati, e non compera più il Parmigiano ma il babignano, e tanti saluti alle persone che lavorano duramente tutto l’anno per garantire la qualità.
Non che in questo i produttori siano innocenti: le ultime campagne pubblicitarie del Parmigiano-Reggiano e del Prosciutto di Parma (da una decina d’anni in qua) sono del tutto identiche a quelle dei prosciutti e dei formaggi qualsiasi, così da far diventare legittima la confusione tra un marchio commerciale qualsiasi e un prodotto di qualità eccezionale che si tramanda da secoli, e magari senza nemmeno il conforto di un aumento delle vendite – il che è un gran brutto risultato sotto tutti i punti di vista. A questo punto, verrebbe da chiedersi quanto è stato speso in pubblicità, e chi sono le menti geniali che hanno approvato tutto questo, ma qui mi fermo perché poi ci si comincia ad arrabbiare. (quella che ho messo qui sopra invece è molto bella, complimenti a chi l'ha pensata e a chi l'ha approvata).
Come considerazione finale, bisognerebbe magari mangiare meno salumi, ma che siano di qualità alta, e senza farci prendere per il naso da uno dei tanti marchi che la pubblicità ci sbatte in continuazione sotto il naso. Oltretutto, la pubblicità costa: da qualche parte i soldi bisogna recuperarli, e il sospetto che ci sia qualcosa sotto viene purtroppo spesso confermato dalle indagini dei NAS. Purtroppo, con tutta questa pubblicità si mette in moto un meccanismo perverso, che sarebbe ora di insegnare anche nelle scuole: cioè che se uno comincia a martellare poi tutti sono costretti a fare pubblicità, anche quelli che ne farebbero volentieri a meno e che fino a qui avevano fatto conto solo sul passaparola dei clienti affezionati e dei salumieri più onesti. Ogni salumiere ve lo potrà confermare: puoi avere sul banco il miglior prosciutto o il miglior formaggio del mondo, ma se in tv dicono bobignoti anche i clienti chiederanno il bobignoti e il prodotto migliore resterà invece invenduto.
Conclusione: se andate in salumeria e chiedete “Bobignati” invece del prosciutto crudo, avete già pronta la vostra patente di incompetenza. Il salumiere lo sa benissimo, ma farà finta di niente e vi darà il bobignato, come desiderate; però sarò io a perderci qualcosa, perché se il salumiere vende il prodotto più scarso invece del Prosciutto di Parma, o del Parmigiano-Reggiano, o del San Daniele, prima o poi anche i consorzi dei prodotti d’eccellenza saranno costretti ad adeguarsi. E “adeguarsi”, in casi come questi, è sempre una gran brutta parola.
Una riga per le immagini che ho scelto: stavolta tutto in positivo, belle immagini e messaggi chiari. Quella in bianco e nero viene dal mensile Linus, anno 1988: in ricordo di Enzo Baldoni, che organizzava l'evento.

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