martedì 24 maggio 2011

Privatizzazione

Siamo reduci da un ventennio (anche di più) in cui si sono magnificate le privatizzazioni a scapito di tutto ciò che è pubblico, statale, regionale, comunale. Con l’ideologia dominante, “Statale” è diventata una brutta parola, “Privato” è diventato la parola magica, e guai a chi contraddice il dogma. In teoria, tutto funziona bene: si impara fin da piccoli che se una cosa è mia la terrò da conto, se invece è di tutti vuol dire che magari ci penserà qualcun altro e mi abituerò a lasciar andare le cose come vanno.
Ma siamo sicuri che vada proprio così? Proviamo a fare qualche confronto con la realtà, magari a fare qualche nome di privati: che so, partire da Michele Sindona per arrivare a Calisto Tanzi, a Cragnotti, a quel Tronchetti Provera che ha usato la Telecom per spiare i concorrenti (c’è un processo importante in corso, con accuse precise; e c’è anche già stato un morto), al Fiorani che è stato il banchiere della Lega Nord, eccetera eccetera: l’elenco dei bancarottieri è sterminato, e ci sono personaggi meno famosi che hanno accumulato fortune comperando a poco prezzo i beni “privatizzati”, soprattutto palazzi e terreni che erano di proprietà di enti pubblici – ma tutto questo, si sa, è di una noia mortale, gli italiani preferiscono parlare di calcio e di pettegolezzi e in questo sono stati generosamente accontentati.

Non che all’estero le cose vadano meglio: in USA un certo signor Madoff si è bevuto tutti i soldi dei fondi pensione privati, e non è certo stato il primo. Adesso Madoff è in galera, ma gli anziani americani non ne hanno tratto gran giovamento: i loro risparmi ormai se ne sono andati, e per sempre. Va invece ricordato che le pensioni statali, qui in Italia, furono sempre pagate regolarmente, anche dopo la catastrofe del fascismo: mio nonno, classe 1882, ebbe puntualmente la sua pensione nel dopoguerra; se avesse pagato i contributi a Madoff, o un altro privato, non so bene che fine avrebbero fatto quei soldi.
Va anche fatto notare che i privati, oggi, in Italia, non sono più quelli delle generazioni precedenti: oggi le aziende qui chiudono e licenziano, e spostano la produzione all’estero dove si pagano di meno i dipendenti e dove ci sono meno tutele. L’ultimo della serie (per ora) è Bialetti, ma prima ci sono stati fior d’imprenditori a seguire questa strada, tutti i big comaschi della seta per esempio, o il Fumagalli della Candy (che oggi produce in Turchia), eccetera eccetera.
Questi sono dunque i privati con cui abbiamo a che fare oggi, con qualche felice eccezione; e per non allungare troppo il post sorvolo (però facendo il segno della croce tre volte) sulla delinquenza che si è infilata un po’ dappertutto.

Ma, soprattutto, vorrei contestare duramente la seconda parte di questo luogo comune, cioè “che se una cosa è di tutti vuol dire che magari ci penserà qualcun altro e mi abituerò a lasciar andare le cose come vanno” : e se invece provassimo a dire in giro che le cose di tutti vanno rispettate e fatte funzionare, che se le aziende sono di tutti significa che sono anche mie e tue, che a lavorare insieme si fa meno fatica e si spende meno, eccetera? Tutte cose tremendamente noiose e fuori moda, si sa: ma ragionare così è da bambini, non da adulti.
Provo a spiegarmi con un piccolo esempio personale: ero sul lavoro (un laboratorio chimico), e siccome c’era tempo ho detto a un mio collega: “Adesso mettiamo in ordine i reagenti, e facciamo un po’ di pulizia”. Mi ha risposto che era una cosa noiosissima, che preferiva andare a fumarsi una sigaretta. E così ha fatto: col beneplacito del capo, perché anche il capo trovava lui tanto simpatico e me tanto noioso. Così anch’io quel giorno (mi dispiace dirlo) mi sono seduto e non ho fatto più nulla di nulla, e mi sono un po’ depresso perché a me avevano insegnato (ed è verissimo) che non fare manutenzione è la cosa peggiore, perché poi ti trovi a lavorare il doppio, a lavorare male, e a lavorare con l’affanno – tutte cose che portano ad errori e anche a catastrofi.
Era un’azienda privata, tengo a sottolinearlo: incompetenti, raccomandati e fannulloni esistono ovunque. Viene dunque da chiedersi come mai le cose vadano avanti lo stesso: semplice, ci sono persone che lavorano doppio, che lavorano anche per gli incompetenti, i fannulloni, i raccomandati. Fessi o volenterosi? Non saprei dire, ma ci sono e non sono pochi. Come si fa a riconoscerli? Semplice anche questo: sono quelli che non fanno carriera. Se lavori tanto, se sgobbi, se ci dai dentro anche nei lavori più umili, allora sei un servitore: questa è una legge non scritta, ma ferrea. Chi è più simpatico fa carriera, e se non siete simpatici non importa come lavorate e quanto lavorate: vale per il pubblico, per il privato, per la carriera militare, per tutto.

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