domenica 6 marzo 2011

Il dottor Primo Levi

- Ne ho abbastanza, - mi ha detto. - Cambio. Mi licenzio, mi trovo un lavoro qualunque, magari ai mercati generali a scaricare la roba. Oppure parto, me ne vado; se uno viaggia, spende meno che stare a casa, e per strada qualche modo di guadagnare si trova sempre, ma in fabbrica non ci vado più.
Gli ho detto che ci pensasse su, che non bisogna mai prendere decisioni a caldo, che un posto in fabbrica non è da buttar via, e che ad ogni modo era meglio se mi raccontava le cose dal principio.
Rinaldo è iscritto all'università, ma fa i turni in fabbrica: fare i turni è spiacevole, si cambia orario e ritmo di vita tutte le settimane, bisogna insomma abituarsi a non abituarsi. In generale, ci riescono meglio le persone di mezza età che i giovani.
- No, non è questione di turni: è che mi è partita una cottura. Otto tonnellate da gettare. (...)
(Primo Levi, inizio del racconto “La sfida della molecola”, dal volume “Il fabbricante di specchi”)

Non sono in molti a saperlo, ma Primo Levi non ha scritto solo "Se questo è un uomo" e "La tregua". Ho letto con raccapriccio, anche su giornali importanti, alcune critiche al suo lavoro: che Levi non era uno scrittore (!) e che era soprattutto un diarista (!!). Mettiamo le cose in ordine: Primo Levi era, innanzitutto, un Dottore: dottore in chimica. Come racconta nei suoi libri più famosi, si salvò dalla morte nei lager nazisti anche per questo; vicino al lager c'era un'industria chimica, di quelle grosse e importanti (c’è ancora oggi, ma ha cambiato nome) servivano un paio di persone che lavorassero in laboratorio e si pensò bene di cercarle tra i prigionieri. Erano mansioni da poco, ma stare nel laboratorio, al caldo, aiutò Levi a passare l’inverno. Le altre ragioni per cui si salvò, a parte la fortuna, fu il fatto di avere vent’anni (sopra i quaranta si finiva quasi sempre nelle camere a gas) di conoscere un po’ di tedesco, e di essere arrivato ai lager quando ormai mancava poco alla Liberazione.
Come racconta ancora lui stesso, il dottor Primo Levi divenne scrittore per necessità: una necessità interiore, non poteva non narrare quello che gli era successo. Ma lo scrittore Primo Levi non è uno scrittore improvvisato, e ai critici letterari basterebbe un po' di buon senso per evitare di scrivere e di dire stupidaggini.

Io ho studiato un po' (poco) di chimica, e sono contento di averlo fatto perché la chimica è bella, e poi perché così ho potuto leggere anche gli altri libri di Primo Levi, e capirne la grandezza. Non solo “Se questo è un uomo” e “La tregua”, ma “Il sistema periodico”, “La chiave a stella”, le poesie, gli stupefacenti racconti fantastici (“Disfilassi”, nei “Racconti”) e tanto altro ancora. Per esempio questo racconto, che parla di cose a me molto familiari: il lavoro a turni (che riguarda migliaia di persone, mai dimenticarselo), e la preparazione delle materie prime per le cose più comuni nella nostra vita, una vernice, uno shampoo, una materia plastica.
In particolare, il fatto raccontato qui era successo anche nella fabbrica dove lavoravo: tremila chili di una resina si erano induriti nella macchina (un pentolone, in sostanza), diventando della consistenza della pietra, molto simile all’ambra nell’aspetto. Per svuotare la macchina fu necessario entrare e spaccare pezzo per pezzo, con il martello pneumatico.
A quel tempo, avevo fotocopiato queste pagine di Levi e le avevo fatte circolare in fabbrica: erano piaciute moltissimo, e mi dispiace molto di non aver potuto a continuare di queste cose, ma così va il mondo.
Il racconto si chiama "La sfida della molecola" ed è pubblicato nel volume "Il fabbricante di specchi", edito da La Stampa; ed è un vero capolavoro, anche se sarà ben difficile trovare un critico letterario che se lo sia letto fino in fondo...

In rete (non so se siano mai state pubblicate in volume: bisogna cercare "Siva Primo Levi" su un motore di ricerca, Siva era la ditta dove Levi fu direttore di produzione) si trovano testimonianze su com'era il dottor Levi, in fabbrica: era infatti dirigente in un'industria di vernici. Il ritratto che ne esce è esattamente quello che ci si aspetta, il ritratto di una gran brava persona, uno di quelli che – in silenzio, lavorando sodo e senza farsi pubblicità – mandano avanti il mondo. Probabile che non fosse una persona particolarmente cordiale, da buon piemontese; ma a me sarebbe piaciuto avere un capo così, un bravo chimico da cui imparare. Per dieci anni ho avuto un buon capo, poi le cose sono cambiate e mi dispiace molto; ma questa è un'altra storia, tutta mia; tiro un sospiro e chiudo.
Ricordo solo un’altra cosa, per chi ne fosse all’oscuro: Primo Levi non fece mai parte del “giro” dei letterati. Portava i suoi racconti al giornale, e si racconta che lo facesse quasi chiedendo scusa del disturbo: e sono racconti bellissimi, scritti in un italiano chiarissimo, esemplare. Una chiarezza di scrittura che è un dono destinato a pochi, ai più grandi. Ed essere fuori da quel giro, dal giro dei letterati, penso che abbia aiutato moltissimo Primo Levi: non tanto nella sua vita quotidiana, quanto nell’essere uno Scrittore con la esse maiuscola. Soldi a parte, meglio non frequentarli, certi ambienti (tv, editoria, pubblicità, grandi capi...). Meglio stare con gli operai, meglio il Faussone di “La chiave a stella”, meglio il Rinaldo protagonista di questo racconto.

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