giovedì 29 luglio 2010

Un raggio di luce


Auguri a chi so io!
(il disegno è un Guillermo Mordillo del '78)
PS: ciao Elena!

mercoledì 28 luglio 2010

Istruzioni per rendersi antipatici

E, per finire, ecco le nuove norme del Codice della Strada, in vigore da agosto: in sostanza, forti inasprimenti delle multe e delle sanzioni.
Qualcuno si sente più sicuro?
Non passa giorno senza che io non veda con i miei occhi almeno una macchina sportiva veloce fare una manovra azzardata, del tipo: curva stretta a 90 gradi affrontata senza scalare le marce, rasente al muro il più possibile, in pieno centro abitato. Ieri, dopo la curva c'era una giovane donna col passeggino: dieci metri più in là, ed era fatta. Bastava che uscisse di casa un attimo prima. Magari il bambino ha buttato per terra il ciucio, lei si è attardata a raccoglierlo, si è salvata la vita e nemmeno se ne è accorta.
Intanto io, in macchina, su brevi percorsi, faccio i miei esperimenti: stare dentro i limiti di velocità nei centri abitati, per esempio. Bastano venti metri di rettilineo (anche meno) e, zac, sorpassato. Oggi si può. Lo fanno tutti, anche senza macchine sportive: chi va piano è un fesso, anche e soprattutto vicino alle scuole elementari.
Cosa farei io se potessi sostituirmi al legislatore? Per esempio questo: vietare la circolazione a tutte le macchine inutilmente potenti e aggressive.
Se c'è un limite di 130 Km all'ora sulle autostrade, perché mai permettere la circolazione ad automobili che vanno a 200 Km all'ora?
Lo stesso discorso va fatto per le moto. Quanti morti ha sulla coscienza Valentino Rossi? Di persona, nessuno; indirettamente, a centinaia.
E qui nasce il provvedimento successivo: abolizione immediata di tutte le gare automobilistiche e motoristiche, dalla Formula Uno ai rallies, a tutto quel che vi viene in mente. Abolizione immediata, perché è dall'esempio dei rallisti e dei Valentino Rossi che nascono i comportamenti come quelli che ho descritto all'inizio, auto rasente al muro in curva a tutta velocità.
Qualcosa da obiettare? Mi avete trovato antipatico a sufficienza? Figuratevi cosa sto dicendo io, che dovrò pagare una tassa una tantum di diecimila euro per comperarmi una macchina nuova che non mi serve, perché la mia sarebbe inquinante (figuriamoci: non ho mica la Balilla, ho una Clio con la quale faccio due pieni all'anno) (due pieni all'anno, certo).
Ringrazio i legislatori per tutto questo affetto che mi dimostrano; in particolare, ringrazio il mio presidente Formigoni che sta volando sopra di me con il suo elicottero, il presidente Berlusconi con il suo jet privato, e l'on. Bossi con le sue auto d'epoca. Tutti veicoli a molla e a pedali, suppongo: ecologici e che non inquinano.
PS: la tradizione delle Ferrari, i fasti del motociclismo italiano? Ma figuriamoci: cosa dovrebbero dire allora i vignaiuoli e i produttori di grappe, che nel nostro Paese sono una vera gloria millenaria? Le Ferrari le faranno in Serbia, le grappe e il Barbera continueremo a farle qui.

martedì 27 luglio 2010

La crisi che viene da fuori

Mi ha veramente stufato, questa storia della crisi economica che viene da fuori e che noi non c’entriamo e ci tocca subirla da poveri innocenti: è una storiella che viene raccontata ad ogni istante, ad ogni dibattito, e per di più con quelli che dovrebbero fare opposizione a dire “sì, è vero, sono d’accordo”.
Siccome fin da piccolo sono stato rimproverato per questo atteggiamento, e mi hanno sempre detto di provare a guardare se invece io (io!) avevo fatto qualche sbaglio, di non star lì a fare la vittima e di dar la colpa agli altri, mi sento autorizzato a mettere per iscritto gli argomenti su cui vorrei invece che si parlasse per esteso. Per esempio:
- La fuga delle industrie dall’Italia, e soprattutto dalla Padania, dura da parecchio tempo: non è solo la Fiat e la Omsa che vanno in Serbia o la Bialetti che va in Cina: è di una decina di anni fa la notizia (passata sotto silenzio o quasi) che gli industriali e gli artigiani del Veneto tengono le loro riunioni in Romania, perché ormai sono tutti lì ed è più comodo. Questa fuga di massa ha molte ragioni, ma una mi sembra chiara: in Confindustria e Confartigianato non si fidano del Governo, non hanno fiducia nei Bossi e nei Berlusconi, men che meno nei Maroni e nei Cota e negli Zaia e nei Brunetta, e sanno bene che Tremonti non è in grado di governare il deficit di bilancio. A parole, dicono tutt’altro; nei fatti, dimostrano ampiamente di non fidarsi. E fuggono all’estero.
- Il ruolo dei sindacati in questa crisi è minimo, quasi zero: sia nel bene che nel male. I sindacati sono come gli avvocati in tribunale, come gli agenti dei calciatori e degli attori: l’avvocato vuole sempre fare assolvere il suo cliente, l’agente spara sempre cifre grosse per l’ingaggio. Tutto sta poi a vedere cosa si può ottenere. Si incolpano dunque i sindacati perché vogliono far guadagnare di più le persone che rappresentano? Questa sì che è bella, è un’antica barzelletta ma vedo che se la bevono ancora tutti, allegramente.
- E’ da un quarto di secolo, dalla metà degli anni ’80, che si insegna ai giovani, ripetutamente e con martellamenti assai insistenti, quali sono i lavori fighi e convenienti: il marketing, il pubblicitario, le vendite. Se si parte da queste premesse, cioè che l’importante è vendere e non importa cosa si vende e come lo si vende, si capisce bene che cosa è successo a questo Paese: a un manager cresciuto nel culto del “vendere vendere vendere” non importa un fico secco se la merce viene dalla Cina o da Kyssadove, lui vende e basta. Se poi le fabbriche chiudono e tutti si trasferiscono in Serbia o in Malesia, chi se ne frega: il venditore la sua parte ce l’ha lo stesso, il pubblicitario può continuare a inventare slogan, gli altri si arrangino che non è compito nostro.
- I padri di questi venditori (ormai quarantenni) erano in gran parte i leggendari industriali brianzoli e lombardi, quelli del boom economico. Ne ho conosciuti parecchi: il loro motto era lavorare, lavorare, lavorare, e non vendere, vendere, vendere. Se lavori bene poi la gente compera: e lavorare bene significa avere idee, progettare, essere affidabili, inventarsi ogni giorno qualcosa di nuovo. Molto più facile e molto meno faticoso comperare dai cinesi e dai malesi e rivendere qui: infatti i figli hanno la Ferrari, i padri non ce l’avevano; i figli fanno le vacanze a Sharm e alle Mauritius, i padri passavano le vacanze in fabbrica. I risultati si vedono: sempre più Suv e Bmw, e sempre più disoccupati.
C’è altro da dire? Oh sì, e tanto. Ma qui mi fermo, tanto a cosa serve? Non appena si prova ad affrontare seriamente il discorso, si alza su il Bossi e dice : «Zingari, finocchi, federalismo, secessione!». La volta dopo tocca a Tremonti, che dirà di essere sempre stato marxista; poi a Brunetta, che se la prenderà con gli statali fannulloni; l’importante è cambiare discorso, non discutere e non entrare mai nei fatti. Un anno fa, si sa, la crisi non esisteva nemmeno; e chi ne parlava era bollato come iettatore. Quest’anno la crisi c’è, e purtroppo bisogna fare i sacrifici. Comincia tu, però, che Piersilvio è in giro sullo yacht nuovo da sei milioni di euro e non ha proprio tempo; e nemmeno Renzino Bossi ha tempo, deve ancora fare un giro sulla pista di Monza con la sua moto nuova di pacca.

lunedì 26 luglio 2010

La Messa in latino

All’inizio degli anni ’90, per mio interesse personale, avevo deciso di assistere ad una Messa in latino: tutti i grandi musicisti hanno composto musica sacra, e volevo saperne qualcosa in più. Fino a tutti gli anni ’50, la Messa in latino era cosa quotidiana, nel senso che la Messa cattolica esisteva soltanto in latino; ma io – che pure non sono più giovanissimo - ho fatto il catechismo già in italiano, ho imparato il Padre Nostro e non il Pater Noster. Già dal 1965 funzionava così, e ormai della Messa in latino si era persa anche la memoria. Così mi sono preparato a dovere e sono andato a Milano, in Sant’Ambrogio, dove tutte le domeniche si diceva la Messa latina. E qualcosa avevo già letto sui giornali, ma finché le cose non si vedono con i propri occhi si fa fatica a crederlo: la chiesa era piena di giovani neonazisti e neofascisti, con tanto di anfibi e abbigliamento paramilitare. Partito da un interesse puramente culturale, avevo fatto invece una scoperta di tipo antropologico: la Messa in latino piace molto all’estrema destra.
Che dire? Ho scoperto poco dopo, sempre leggendo e informandomi, che quella non era la “vera” Messa in latino, ma il rito in latino previsto dal Concilio Vaticano II; la Messa “vera”, quella tradizionale, era il rito tridentino, nel senso del Concilio di Trento, svoltosi alla fine del secolo XVI. Devo dire che con i riti e le liturgie sono sempre andato poco d’accordo. I riti li rispetto e li so apprezzare, ma se mi si chiede una partecipazione personale proprio non mi riesce. Mi distraggo, guardo il soffitto e la gente accanto a me, mi trovo lontanissimo nello spirito proprio nei momenti più importanti: mi sono applicato molto, e più volte, ma proprio non ci riesco.
Ma non è questo il punto: il punto è che ho conosciuto persone che avevano aperto un bar pensando di farne un locale fine ed elegante, riservato a una clientela di buon livello, e se l’erano ritrovato pieno di balordi e malavitosi. Il punto è che conosco persone che si impegnano molto a coltivare un giardino, ma poi le piante a cui tengono crescono stentate e non danno frutti; crescono invece rigogliose, per quanti sforzi si facciano, le piante infestanti e le colonie di cimici e di pidocchi delle piante.

Purtroppo, più passa il tempo e più queste mie prime impressioni, ormai lontane, vengono confermate: l’anno scorso papa Ratzinger, tenendo conto delle molte buone ragioni dei “tradizionalisti” (amano farsi chiamare così) , decise di revocare la loro scomunica. Nei giorni immediatamente seguenti, giustamente intervistati dai giornali, subito un vescovo lefebvriano fece dichiarazioni filonaziste e un prete lefebvriano qui in Italia si affrettò a negare (con sarcasmo) il genocidio di Auschwitz e di Mauthausen. Che dire, che pensare: da un prete cristiano che soffre in silenzio da vent’anni, quando lo si avvicina per una dichiarazione pubblica, e in circostanze come queste, ci si aspetterebbe qualcosa del tipo “sia lodato Gesù Cristo”, non certo l’apologia hitleriana e l’esaltazione dei campi di concentramento con annessi forni crematori.
Insomma, sempre più constato che la Messa latina, tradizionale e tridentina, pur con tutte le premesse cultuali e culturali, pur con tutti i discorsi e le lezioni di teologia e di patristica e di quant’altro si possano fare, attira soprattutto (ben accolta) gente orientata all’estrema destra e oltre, comprese persone che per quel che dicono e per come si comportano non possono certo essere definite cristiane, ad esempio persone come l’onorevole Borghezio. Quando faccio questi discorsi (sempre più raramente) mi si risponde: “Noi non facciamo politica, in chiesa non si parla di politica”. E ho imparato da tempo a diffidare, quando si dice “non facciamo politica, non si parla di politica”, perché c’è sempre sotto qualcosa.

Ma il punto è sempre quello lì, quello che ricordavo prima: noi possiamo costruire una casa con le migliori intenzioni, ma non è così scontato che il Signore sia dalla nostra parte. Infatti:
Nisi Dominus aedificaverit domum,
in vanum laboraverunt qui aedificant eam.
Nisi Dominus custodierit civitatem,
frustra vigilat qui custodit eam.
Se il Signore non costruisce la casa,
invano vi faticano i costruttori.
Se il Signore non custodisce la città,
invano veglia il custode.
SALMI, 127-1:4

(Claudio Monteverdi, Vespro della Beata Vergine)

martedì 20 luglio 2010

La capitale morale

- Ma sei venuto su in treno?
- Sì, ho trovato da parcheggiare la macchina vicino a casa, e se la sposto poi il posteggio non lo trovo più.
- Certo che vivi in un bel posto!
Il “bel posto”, ovviamente, è una delle tante vie che si diramano da Milano (una a caso, fate voi); e il dialogo che riporto è assolutamente autentico e me lo ha riferito una persona che ben conosco, e che dialogava con un suo parente. Purtroppo il “bel posto” si sta estendendo sempre di più, e trovare un parcheggio per l’automobile è diventato un problema arduo.
Oltretutto, e per questo dobbiamo ringraziare anche i promotori del Federalismo (un federalismo da strapazzo...), nelle città, anche quelle medio-piccole, tutti i posteggi sono ormai a pagamento: il che va bene se devi fare la spesa, un po’ meno bene se fai il pendolare e vuoi usare i mezzi pubblici parcheggiando la macchina nei pressi di una stazione. E magari ti succede come a quella signora che aveva invitato il figlio a pranzo, a Milano in via Garibaldi, e siccome il figlio si è perso un po’ via nel chiacchierare con la mamma si è ritrovato una mega multa: aveva sforato di un quarto d’ora il disco orario... (occhio se andate dal dentista: potreste ritrovarvi la macchina su un carro attrezzi!).
Ma tutto questo è considerato normale. La gente non parla di questo, al massimo se ne lamenta un po’, ma poi – davvero – considera normale che ciò succeda. E’ per altre cose che ci si arrabbia: per l’aumento del bollo, per il calcio, per Roma ladrona che interferisce con i nostri politici così valenti e bravi... Intanto, sono qui davanti alla tv che guardo l’intervista a Mario Rigoni Stern, un fatto del tutto inusuale. Il grande scrittore (è veramente grande, mica per modo di dire!) dice cose meravigliose, e – invitato a dare un consiglio a chi ascolta - conclude dicendo: «Spegnete la tv, e andate a farvi una passeggiata.»
Fa presto a dirlo. Lui adesso riparte, e tra un paio d’ore sarà di nuovo nelle sue montagne. Ma chi abita a Milano viale Zara? Ho avuto anch’io la mia esperienza, e so cosa può capitare. I milanesi che rimpiangono la natura di regola si comperano un cane; e non un cane qualsiasi, ma uno di almeno 40 Kg di peso. Se abitate da quelle parti e volete uscire di casa la sera, a parte la desolazione dello spettacolo che vi si offre (cemento, asfalto, auto in sosta, viados), fate ben attenzione a dove mettete i piedi: potreste portare a casa un ricordo piuttosto sgradevole.
Giuliano 30 dicembre 2006

venerdì 16 luglio 2010

Chi vota Lega è un imbecille? (n.2)

La città di Como e i suoi dintorni finiscono sui notiziari nazionali quasi soltanto per George Clooney. Invece ci sono tante cose belle che vi succedono, per esempio:
1) L’ospedale Sant’Anna, posto proprio all’ingresso della città, necessita di un autosilo perché ci sono pochi posti nel parcheggio; la giunta provvede e costruisce velocemente un enorme autosilo, dopodiché l’ospedale viene spostato in altra sede, periferia Ovest. La nuova sede, costruita a tempo di record su terreni agricoli per i quali viene immediatamente cambiata la destinazione, risulta essere ubicata nel comune di San Fermo: cosicché tutti i bambini che vi nascono risultano nati a San Fermo, e non a Como. La questione, a cui nessuno aveva pensato, coglie tutti di sorpresa e suscita profonde discussioni. Oltretutto, anche i parcheggi del nuovo ospedale (pochi posti disponibili) risultano essere nel comune limitrofo, e la giunta di San Fermo fa pagare l’affitto del terreno al comune di Como. Dato che non è una cifra da poco, ne nasce un conflitto tra Como e San Fermo che ancora occupa le pagine dei giornali locali; dal canto suo, l’autosilo ubicato vicino alla vecchia sede dell’ospedale (ormai oggetto di speculazioni edilizie, perché è zona appetibilissima) rimane desolatamente vuoto per la maggior parte del suo tempo d’apertura; del resto, lo usavano in pochi fin da prima, perché è molto scomodo.
2) Un muro deturpa il lungolago di Como, proprio in centro: un muro alto due metri, tutto di cemento! Come è possibile, come è accaduto? Alcuni cittadini comaschi se ne accorgono sbirciando attraverso il cellofan che nasconde il cantiere, ed è lo scandalo. Un muro di due metri d’altezza che nasconderà la vista del lago, proprio in centro, proprio sul balcone fiorito della città, una città turistica! Come è potuto succedere? Ecco, la spiegazione è questa: siccome a Como ogni tanto, un paio di volte all’anno, il lago esonda pacificamente e si riprende una parte della piazza, creando un effetto acqua alta come a Venezia, la giunta comasca ha deciso, dopo lunghi consulti durati un decennio, di costruire delle paratie. Il fastidio, a dire il vero, era di poca entità; limitato ai commercianti che hanno negozi e cantine vicino al lago, piazza Cavour e dintorni, e agli automobilisti che in quei giorni dovevano fare lunghi giri invece di passare per il lungolago. Però adesso eccolo lì, il Muro lungamente progettato e sognato dai seccatissimi comaschi: alto due metri, perché se l’esondazione è di un metro la diga, o l’argine che sia, va fatto alto un metro e mezzo, meglio due; si immagina facilmente che il progetto preveda un ripensamento totale del lungolago, e del resto sono cose facili da immaginare, ma – caspita! – cosa mi è scappato detto, che parola ho detto? Argine, diga? Ma no, sono paratie, paratie, t’è capì? Mica diga, paratie. Ok, sono paratie: la giunta ha promesso solennemente che il Muro verrà demolito (non gratis), qualche assessore cattivo e malaccorto ha avuto una truce ma timida campagna di stampa contro di lui (oh, poca cosa), tutti sono rimasti al loro posto, ormai si parla d’altro, eccetera.
3) L’ultimo aggiornamento sulla vicenda dell’Ospedale Sant’Anna è questa: nelle sue fondamenta il racket legato alla ‘ndrangheta calabrese ha versato una discreta quantità di rifiuti tossici da smaltire. Già che c’erano, si fa così ovunque, perché non a Como (pardon, San Fermo) ?. La foto sul quotidiano “La Provincia” (un covo di rossissimi comunisti legati a doppio filo alla Confindustria comasca) pubblica una foto dei mezzi che hanno realizzato l’impresa: la ditta Perego. Per chi non lo sapesse, Perego (Pérego, con l’accento sulla prima e) è uno dei cognomi più tipicamente brianzoli e lecchesi che esistano: vün di nòster, insomma. (Ma prima ho detto “calabresi”? Che distratto, calabresi o brianzoli, lecchesi, comaschi o di San Fermo? Con ‘sto caldo, chi ci capisce più niente...).
PS: Nella foto (Ansa o Tg5? non ricordo bene), Totò Bossi e Nino T. Maroni mentre cercano di vendere la Fontana di Trevi a un ignaro elettore leghista.
PS2: Ohibò, i miei piccoli lettori mi segnalano che c’è un errore: il sindaco di Como non è leghista. E’ vero, confermo: la Lega Nord è solo seduta lì di fianco e controlla tutto, ma proprio tutto. Niente gli può scappare.

giovedì 15 luglio 2010

Sgomento

Sono reduce da una visione televisiva che mi ha procurato un serio spavento. Non è certo una novità, ma visto che siamo ormai arrivati a metà 2010 e le cose non cambiano, temo che la paura mi resterà addosso per un bel po'.
Ecco cos'è successo: ore 11.30 circa, mentre sto apparecchiando la tavola, c'è in tv un dibattito che sembra interessante e che riguarda i tagli governativi alle Regioni. L'onorevole Scandroglio, del Popolo delle Libertà, spiega che i tagli riguarderanno anche il trasporto pubblico ma che si tratta di poca cosa: un treno ogni ora invece di uno ogni mezz'ora, cosa vuoi che sia.
Un pendolare presente in studio allibisce: ha appena spiegato che ogni giorno viaggia due ore e mezzo...Siccome l'onorevole Scandroglio insiste e vuole spiegargli che è lo stesso, che basta alzarsi mezz'ora prima e tutto va a posto, il pendolare è costretto spiegarsi anche con i gesti: «No, guardi - dice facendo segno di no con le mani, anche per farsi spazio in mezzo al torrente di parole - se lei toglie un treno, su quello dopo ci sarà così tanta gente che alla stazione dopo non sale più nessuno.»
Scandroglio insiste: « Eh, metteranno più carrozze!»

Qui mi fermo nella cronaca. A spaventarmi, a lasciarmi sgomento, è soprattutto la sicumera di Scandroglio, e il tono borioso con cui si esprime, quasi che l'interlocutore sia un bambino di tre anni che non vuol capire. Ma la questione è semplice: Scandroglio non sa di cosa si sta parlando. Non contento, quando glielo si fa notare (con molta cortesia, peraltro), Scandroglio insiste: mettere più carrozze.
Che dire? Ho avuto tanti amici in ferrovia, me lo hanno spiegato da sempre: non si possono mettere più carrozze perché 1) non è detto che le carrozze ci siano; 2) anche se ci fossero, le motrici tirano un numero determinato di carrozze, più di quello non si può fare. E' poco più di un normale quiz per la patente: tutti sappiamo che al traino non si può mettere quello che ci pare e piace, oltre un certo limite di peso si corrono seri rischi.
In sostanza, l'onorevole Scandroglio andava allontanato dalla trasmissione tv; bisognava dirgli "onorevole, se non sa di cosa si sta parlando, ci lasci discutere in pace, ci mandi qualcuno preparato, torni un'altra volta che le troviamo un argomento consono alla sua preparazione..."
Ma no, non succederà mai. Scandroglio è andato avanti per più di un'ora, elegante e beneducato, a sentenziare boriosamente su tutto. E non è solo Scandroglio: è Castelli, è Maroni, è la Santanché o la Carfagna, sono così tanti che non ho spazio sufficiente per i nomi. A completare il quadro, i desolanti interventi dell'on. Matteo Colaninno: che avrebbe dovuto (in teoria) rappresentare l'opposizione.
Questa è la classe dirigente che dovrebbe affrontare la più grave crisi economica mai vista in Italia.
Mamma mia.

mercoledì 14 luglio 2010

Beaumarchais

«(...) No, signor conte, voi non l'avrete... non l'avrete. Perché siete un gran signore, vi credete un gran genio!... Nobiltà, ricchezza, gradi, cariche: fa diventare così superbi, tutto questo! Ma voi che avete fatto per meritare tanta fortuna? Vi siete data la pena di nascere, e basta. Del resto, siete un uomo abbastanza comune. Mentre io, perbacco!, sperso come ero nella folla anonima, ho dovuto spiegare più scienza e accortezza, solo per sopravvivere, che non voi in cent'anni per governare tutte le Spagne. E vorreste giostrare con me, voi?... Viene qualcuno... è lei... No, non c'è nessuno... La notte è nera come il diavolo, ed eccomi qua a fare lo stupido mestiere del marito, anche se lo sono soltanto a metà! (Si siede su una panca)(...). Non potendo avvilire l'intelligenza, tutti si vendicano maltrattandola. Le guance intanto mi si scavavano: la pigione era in arretrato: vedevo già l'orribile figura del cursore arrivare di lontano con la penna infilata nella parrucca; spaventato mi metto a stillarmi il cervello. In quella, sorge una discussione sulla natura delle ricchezze; e siccome, le cose, non è necessario possederle per poterne ragionare, pur non avendo un soldo in tasca mi metto a scrivere sul valore del denaro e sul suo reddito netto: immediatamente, dal fondo d'una carrozza, vedo abbassarsi per me il ponte di una fortezza sulla cui soglia lasciavo la speranza e la libertà. (Si alza) Ah, questi potenti da quattro giorni, che danno ordini malvagi così alla leggera! come vorrei averne uno fra le mani, dopo che una buona disgrazia gli avesse fatto smaltire l'orgoglìo! Gli direi... che tutte le sciocchezze che si stampano diventano importanti solo nei paesi dove si ostacola la loro diffusione; che, senza la libertà di biasimare, non esistono elogi lusinghieri; e che soltanto gli uomini piccoli temono i piccoli scritti. (Si rimette a sedere) Un giorno si stancano di mantenere un oscuro ospite come me, e mi rimettono in mezzo alla strada; e, siccome bisogna pranzare anche se non si sta più in prigione, io rifaccio la punta alla mia penna, e domando a tutti qual è l'argomento del giorno: mi dicono che durante il mio ritiro economico, si è istituito a Madrid un regime di libertà sulla vendita dei prodotti, compresi anche quelli della stampa; purché nei miei scritti non parli né dell'autorità, né del culto, né di politica, né di morale, né delle persone altolocate, né degli istituti di credito, né dell'opera, né degli altri spettacoli, né di alcuno che conti per qualche cosa, io posso stampare quello che voglio, previo controllo di due o tre censori. Per approfittare di questa dolce libertà, annuncio la pubblicazione di un periodico, e, credendo di non pestare i piedi a nessuno, lo intitolo « Giornale inutile ». Pàffete! Vedo levarmisi contro mille poveri diavoli di pennaiuoli; il giornale è soppresso, e io sono daccapo senza lavoro! � La disperazione stava per impadronirsi di me, quando qualcuno pensò a trovarmi un posto; ma, per disgrazia, era troppo adatto per me: occorreva un contabile, e fu un ballerino a ottenerlo. Non mi restava altro da fare che rubare; divento tenitore di banco al faraone; allora, brava gente!, ceno tutte le sere in città e le così dette persone come si deve mi aprono gentilmente le loro case, intascando i tre quarti dei miei guadagni. Avrei potuto ritornare bene a galla; cominciavo anche a capire che per far fortuna il saper fare conta più del sapere. Ma siccome intorno a me tutti truffavano, pretendendo che io fossi onesto, dovetti ancora una volta soccombere. Il colpo fu tale che abbandonai il mondo, e venti braccia d'acqua stavano già per separarmene, quando un dio benefico mi richiama alla mia primitiva professione. Riprendo il mio astuccio e il mio cuoio inglese; poi, lasciando il fumo agli sciocchi che se ne nutrono, e la vergogna in mezzo alla strada, come un fardello troppo pesante per chi va a piedi, vado radendo barbe di città in città, e vivo finalmente senza pensieri. Un giorno capita a Siviglìa un gran signore; mi riconosce, io riesco a farlo sposare; e adesso, ottenuta la moglie per merito mio, come premio vuol prendersi la mia!(...)»
(Pierre A. Caron de Beaumarchais, "Il matrimonio di Figaro", brani dal monologo di Figaro nell'ultimo atto)

Per molto tempo ho considerato il personaggio di Figaro, il barbiere di Siviglia , come una figura un po' bolsa. Umorismo d'altri tempi, pensavo; la cavatina è così usurata da essere diventata inascoltabile.e Rossini ha scritto opere molto più divertenti, la Cenerentola e l'Italiana in Algeri, per esempio. Poi ho scoperto Mozart: Le nozze di Figaro, scritta in collaborazione con Lorenzo Da Ponte; e poi, sempre a ritroso, ho scoperto l'origine del personaggio di Figaro, e cioè Beaumarchais. Dopo aver aiutato il Conte d'Almaviva a sposare la sua innamorata (è il soggetto del "Barbiere"), Figaro, ormai al servizio del Conte, decide di sposarsi.
Il grande successo di Beaumarchais risale al 1775-1784, subito prima della Rivoluzione Francese; e la novità (la ragione del grande successo) sta nel fatto che il "proletario" Figaro si muove alla pari con il Conte, sulla scena non c'è differenza tra i due. Ma il Conte ha delle mire su Susanna: Figaro, come è ovvio, si è scelto una bella moglie e il Conte rimpiange i bei momenti quando c'era ancora lo jus primae noctis, e i padroni facevano quello che ritenevano giusto, e nessuno ci metteva il becco. Da qui nasce tutta la commedia, e anche l'equivoco per cui Figaro se la prende con le donne, all'inizio del suo monologo finale. Quando Mozart musica "Le nozze di Figaro" (1786), non fa che riprenderne il grande successo. La versione italiana di Lorenzo Da Ponte è bellissima, e la musica di Mozart anche; viene però censurata tutta la parte "politica", e nell'opera di Mozart Figaro, nell'aria finale, se la prende solo con le donne, e con il Conte...
Rileggendo Carlo Goldoni (stesso periodo), e riascoltando Mozart, mi sono reso conto di quanto sia simile questa nostra epoca a quel Settecento in apparenza così lontano.
Anche da noi, oggi, i Conti d'Almaviva sono ben presenti, vorrebbero risuscitare il passato in cui facevano quello che gli garba e nessuno (i sindacati e i comunisti, magari) poteva metterci becco, e ci sono ormai riusciti, con la nostra fattiva collaborazione s'intende.
E infatti, se vi guardate solo un po' in giro (ovviamente senza dimenticare gli specchi) potete facilmente riconoscere un esercito di lacché, maggiordomi, servitori, factotum, cortigiane e cortigiani. All'epoca del Conte d'Almaviva, quando un giovane servitore provava a pensare e alzava un po' la cresta, come capita nell'opera con il paggio Cherubino, lo si mandava a fare il soldato (lo si levava dai coglioni, insomma), sperando che in guerra poi avesse il fatto suo. Il Settecento è pieno di questi personaggi, che forse non si sono mai del tutto estinti ma solo cammuffati nelle nostre recenti vicende; ma ormai i tempi sono maturi e ognuno di noi può smettere di dissimulare e tornare alla sua immortale maschera, Pantalone Arlecchino Brighella e Colombina che sia. E anche, ovviamente, il terribile Capitan Fracassa: ma tutti rigorosamente alle dipendenze di qualcuno, Conte o Cavaliere che sia.
(settembre 2004)

lunedì 12 luglio 2010

La libertà di stampa? è roba per tipi strani...

Leggo che stanno per cambiare il direttore di Rainews: ormai siamo all'ultimo dei Mohicani, dopo cosa rimane? Ho fatto scorrere in queste settimane tutto l'armamentario dei canali del digitale e del satellitare: non c'è una sola emittente di sinistra, eppure la sinistra ad ogni elezione (sinistra e centrosinistra) prende il 35-40% dei voti, mica poco.
Ed anche nei giornali siamo messi male, molto male: prima di tutto, perché dai trent'anni in giù il giornale non lo legge più nessuno. E poi, perché anche quel poco che rimane di stampa non governativa dipende pur sempre dai contributi statali: via quelli (e basta un piccolo provvedimento governativo), via per sempre il Manifesto, L'Unità, anche Repubblica sarebbe a rischio di chiusura. E il gioco, si sa, è proprio questo: da domani farà informazione solo chi ha i soldi (e gli appoggi) per comperarsi le frequenze. E non si creda di essere liberi perché si pubblica sul web: basta poco anche qui, sul web la censura è facilissima.
Che dire? Negli anni '80 ho gestito un'edicola, c'erano giornali per tutti i gusti e tutte le opinioni, ed era bello aprire i pacchi, la mattina alle cinque, e vedere le diverse aperture dei diversi quotidiani. Da allora, il numero di copie dei quotidiani che vengono vendute è drasticamente diminuito; molte edicole hanno chiuso, quelle che rimangono campano sui gratta e vinci e sulle ricariche dei telefonini, magari anche sui videopoker. E l'informazione, la pluralità dell'informazione? Di questo, scusate se lo dico apertamente, non frega niente a nessuno. Non ho mai sentito nessuno, all'edicola o al bar, non dico lamentarsi o prendere posizione, ma anche solo accennare alla faccenda.
Chi se ne frega, insomma, se chiude un giornale. Chi se ne frega se licenziano un giornalista e ne mettono al suo posto un altro meno bravo. Chi se ne frega di tutto, insomma: e il gesto del "fregare" sull'ennesimo gratta e vinci (questo sì che è diventato un gesto familiare, familiarissimo) rischia di diventare eloquente ed emblematico.

sabato 10 luglio 2010

Il mio veleno lavora

- (...) Lei è molto piú giovane di me, non ha vissuto quegli anni in Italia e in Germania, ma veramente è stupefacente, anche per me che li ho vissuti, assistere oggi ai film ripresi allora. Sentire i dischi dei discorsi di Hitler e di Mussolini. Sono per noi quasi incomprensibili. E’ incomprensibile come potessero, tutti e due, ma soprattutto Hitler e i suoi, mobilitare le masse con dei mezzi cosí assurdi. Eppure lo hanno fatto. E oggi assistiamo - non in Italia e non in Germania, ma in Libia e in Iran - a fenomeni molto simili. Cioè veramente, i profeti esistono. È molto difficile distinguere fra buoni profeti e falsi profeti. A mio parere i profeti sono falsi tutti. Non credo ai profeti, benché io... (ride) appartenga a una stirpe di profeti.
(Primo Levi, da un’intervista radiofonica del 1986 a Milvia Spadi, per la Westdeutscher Rundfunk; reperibile su “Primo Levi: Conversazioni e interviste” a cura di Marco Belpoliti, ed. Einaudi)

Primo Levi questa volta (e solo per la prima parte di questo suo ragionamento) si sbagliava: purtroppo ebbe il tempo di rendersene conto, con molta angoscia. I discorsi del duce, che a noi degli anni ’70 e ’80 sembravano ridicoli, da marionetta, invece affascinano ancora: quel ridicolo “Vinceremo” (ridicolo e tragico) con le mani sulle anche e il petto gonfio come quello di un tacchino, colpiscono ancora, e me ne accorgo ogni volta che passano in tv, come in questi giorni, per uno spot sulla loro ennesima ripubblicazione in dvd.
Gli spot di Hitler e di Mussolini passano ancora, passano molto spesso: i loro filmati di propaganda sono gli unici di quegli anni, o quasi. Se si vuole raccontare l’Europa degli anni ’20 e ’30, bisogna per forza di cosa passare attraverso quei filmati di propaganda: ed è uno scempio della storia, ogni volta. Tutti sappiamo cosa successe dopo quei “Vinceremo” , quegli “Spezzeremo le reni alla Grecia”, e quello che è successo non si può cambiare: l’Istria e Fiume e la Dalmazia passarono alla Jugoslavia, le pagine sui nostri soldati in Grecia e in Albania sono tra le più cupe, l’inadeguatezza e l’improvvisazione della spedizione in Russia sono stati raccontati centinaia di volte da testimoni diversi, della disfatta di El Alamein si parla come se fosse una vittoria, delle leggi razziali si nega l’esistenza anche se sono ancora tra gli atti ufficiali, disponibilissime a chiunque voglia informarsi.
Eppure il duce è sempre lì, ogni sera, con i suoi filmati di propaganda, le mani sulle anche, gonfio come un tacchino, a dire “vinceremo”: sembra quasi che abbia vinto davvero. Detto en passant, il duce era piccolino di statura: le fonti ufficiali parlano di un metro e settanta, ma guardando bene foto e filmati, soprattutto quando è accanto al Re, io non ci credo. L’inganno è riuscito, anche al cinema Mussolini ebbe interpreti dal fisico poderoso, come Rod Steiger o come Jack Oakie nel film di Chaplin: invece sarebbe stato più adatto Danny De Vito, o magari Lino Banfi.

Il titolo che ho scelto, “il mio velen lavora”, si riferisce a Jago, nell’Otello di Shakespeare (e di Verdi). Jago è il principe dei traditori, forse anche il re: e mi sembra che “traditore” accanto al nome di Mussolini sia l’aggettivo migliore. Traditore è chi porta alla morte della Patria (così fu definito l’8 settembre: l’Italia era governata dai fascisti, è bene ricordarlo, vent’anni senza opposizione e questo fu il risultato), traditore è chi consegna i suoi concittadini al nemico (le leggi razziali: gli ebrei erano cittadini italiani, molti ebrei deportati e uccisi erano perfino fascisti), traditore è chi consegna la Patria ad una forza straniera (la vergogna della Repubblica di Salò, dove comandavano le SS naziste). Eccetera: alla faccia dei “vinceremo”.

PS: questo post è già stato pubblicato il 4 gennaio 2010. Sono costretto a ripubblicarlo perché la quantità di filmati con buci ed esseesse è diventata una valanga, una slavina inarrestabile: su tutti i canali e a tutte le ore, è quasi impossibile evitare di imbattersi in questi vecchi filmati di propaganda. L'unica speranza rimasta è questa: che i giovani li prendano per marionette ridicole, come li vedeva Primo Levi e come li si vedeva anche noi in anni più civili. Ma è una speranza flebile: così tanti fascisti e nazisti in giro non c'erano dal 1939, e si sa che cosa è venuto dopo il 1939. Tocchiamo ferro, cos'altro fare? Con politici come questi, con dirigenti come questi...

martedì 6 luglio 2010

Sinergia


(in parallelo con il mio blog sul cinema, "Quintet" di Robert Altman e il "Mahabharata" diretto da Peter Brook)

lunedì 5 luglio 2010

Un tempo scardinato ( II )

Diventa sempre più difficile distinguere l’informazione dalla propaganda, sia commerciale che politica; e la questione riguarda ormai anche giornali e tg che continuavo a ritenere come una piccola oasi di professionalità in mezzo al marasma di informazioni “tutte da verificare”che riceviamo ogni giorno. Me ne sono reso conto con molto dispiacere in alcune occasioni recenti, e questa è una:
PERCHÉ MOLTI BLOG ORA TRASLOCANO SUI SOCIAL NETWORK
di Ernesto Assante, venerdì di repubblica 25 giugno 2010
Il mondo della rete evolve con grande rapidità e quello che era vero solo qualche mese fa spesso non lo è più oggi. Di certo l'area che sembra sul punto di cambiare natura più rapidamente è quella dei blog, che stanno subendo il grande «attacco» dei social network e stanno quindi, pian piano cambiando natura. I «diari» pubblici si sono trasferiti infatti in gran parte su Facebook, luogo dove, peraltro, vivono in maniera più consona alla loro natura, sono facilmente raggiungibili, conoscono una popolarità maggiore e possono essere più facilmente multimediali.
E i vecchi blog? Stanno trasformandosi in rubriche, appuntamenti di natura sempre più giornalistica o para-giornalistica, dove a dominare è l'opinione, che deve conquistarsi, strada facendo, autorevolezza. È un cambio di passo, uno spostamento interessante, che andrebbe analizzato con attenzione. Perché, se da una parte il territorio di Facebook si consolida, quello dei blog diventa più volatile, e costringe poco alla volta anche i più restii a consegnarsi nelle mani dell'azienda di Mark Zuckerberg.
Quello che mi inquieta maggiormente è la chiusa: “consegnarsi nelle mani dell'azienda di Mark Zuckerberg.” Mark Zuckerberg, quello che pochi giorni fa ha dichiarato che la privacy è un valore superato? Mamma mia!

Ma non è finita qui, eccone un’altra:
NON È UN BLOG PER GIOVANI
di Alessandro Gilioli, l’espresso 25 febbraio 2010 www.piovonorane.it
Nell'ultimo anno i blogger americani con meno di 17 anni sono dimezzati, crollando dal 28 al 14 per cento del totale. Meno 15 per cento anche per la fascia d'età immediatamente successiva, quella tra i 18 e i 29. Invece i blogger over 30 sono aumentati dell'l l per cento. Questi dati (diffusi pochi giorni fa dal Pew Internet and American Life Project di Washington) ci raccontano la velocità con la quale i fenomeni si modificano in Internet: benché ancora oggi nei telegiornali italiani si parli dei blog come di «diari on line di adolescenti», avviene invece che ì nativi digitali trovino molto più comoda e colloquiale la conversazione nei social network, mentre i blog stanno diventando sempre di più forme espressive mature di una generazione, appunto, matura.
I motivi sono tanti: a partire dal fatto che Facebook e Twitter consentono una rapidità e un'immediatezza dialogica (ma anche una ludicità) molto maggiori del "vecchio" blog, il che ovviamente piace a più giovani. Inoltre nei social network ci si sceglie il bacino di lettori con cui condividere le proprie esperienze, e quindi si fa molto più "gruppo". Ancora, i tweet rapidi si aggiornano benissimo dal cellulare, mentre tenere un blog soltanto col telefonino è un po' più complesso.
E allora che ne è dei blog? Al momento sembrano trasformarsi in piccole o grandi testate paragiornalistiche, personali o di gruppo, generaliste o di nicchia, serie o facete, ma insomma “da grandi". Più avanti, sono forse destinati a sciogliersi nel mare della Rete. sempre meno distinguibili dai siti Web veri e propri.


Mai uno che dica: “sì, ma per fare cosa?”. Le analisi sono anche condivisibili, e se tutti traslocano su Facebook è inutile negare il fatto, e la cosa in sè non è disdicevole; ma tutti questi che ti dicono “sono su Facebook”, e sembra che la cosa finisca lì, mi danno molto da pensare. Ok, sei su Facebook: e cosa fai, su Facebook? Cosa fai su Twitter? Ok, sei su Facebook, sei su Twitter, ma per fare cosa?
La mia impressione è che, tolte le evidenti e meritevoli eccezioni, la maggior parte di quelli che “sono su Facebook, sono su Twitter, ah tu sei ancora su un vecchio blog” oltre all’esser lì non sanno che cosa fare e non hanno niente da dire. E’ come alle feste: l’importante è esserci, fare ciao con la manina, far vedere che sei lì, sorridere ed essere fighi; poi di tutto il resto non è che importi molto.
Tutti pareri miei personalissimi, s’intende: non ho nessun pulpito e non faccio prediche, non mi ritengo superiore a nessuno, e anzi, se devo proprio dirla tutta – ma no, non lo dico, l’ho già detto ieri e non sto qui a ripeterlo. Però posso dire che, per me, l’importante è NON esserci. L’ho già messo in pratica parecchie volte nella mia vita, e dispiace molto doverlo dire, ma a non esserci il più delle volte (non sempre) si sta benissimo.

domenica 4 luglio 2010

Un tempo scardinato ( I )

Non volevo aprire un blog, mi ci hanno tirato dentro: con molta grazia ma anche con molta insistenza, l’amico Primo Casalini (nickname: Solimano) mi convinse a pubblicare “quello che ti pare” sette anni fa, su un blog che non esiste più da tempo; e da allora ho preso il vizio di scrivere. A quel tempo i blog non erano gratuiti, bisognava pagare un provider per farsi pubblicare: poca cosa, ma quando quel gruppo si sciolse (era legato al movimento dei “girotondi”, sembra un secolo fa) nessuno pagò più la retta e “Ulivo Selvatico” sparì dal mondo web. A quel blog ne seguì un altro, sul cinema: anche qui, dissi di no più volte a Solimano, ma poi mi feci convincere e quel blog (“Abbracci e pop corn”, un nome che ho sempre cordialmente detestato) ebbe notevole successo, arrivando a contare un milione di pagine viste in meno di due anni. Insomma, eravamo bravi: da marzo Solimano non c’è più e il suo blog adesso è fermo, la nostra collaborazione si era interrotta da tempo, io sono stato fermo sette-otto mesi poi ho deciso di completare qui (ho un altro blog, questo è solo d’appoggio e di sfogo) la stesura dei miei personalissimi appunti di cinema, ma questa dei miei blog è storia di pochissimo interesse, non è di questo che vorrei parlare.
Insomma, pubblico controvoglia ma qualcosa pubblico: quasi niente di mio, molti frammenti di autori che mi dispiacerebbe se venissero dimenticati (anche pagine intere, come per Landolfi o Melville), eccetera. La ragione di quel “controvoglia” è presto detta: quando parlo c’è sempre qualcuno che mi dice “da che pulpito”, “chi ti credi di essere”, “pensi di essere superiore”, “ma allora pensi che tutti siano imbecilli”, “vuoi che tutti ascoltino solo quello che piace a te”, e altre simili piacevolezze. Ma io non sono così. Ho fatto un esame di coscienza, ho riletto quello che scrivo, mi sono guardato allo specchio e non mi sono piaciuto perché ho molti difetti – molti difetti, certo: ma non quelli che ho elencato sopra. Mi sono invece reso conto che, spesso, sapere qualcosa, essersi informati, è male. Un difetto grave, gravissimo. Che dire, che fare? La tentazione di tacere anche qui, dopo essermi tirato in disparte anche nella mia vita privata, è grande.
Intanto che ci pensavo, però, mi è successa una cosa utile: sono venuto a capo di uno dei passi dell’Amleto che avevo sempre trovato oscuri. E’ la fine del primo atto, quando Amleto dice:
This time is out of joint. O cursed spite,
that ever I was born to set it right.
Tradotto in italiano è più o meno così: «Questo tempo è scardinato (fuori dai cardini). Maledetto destino, che proprio io sia nato per rimetterlo in sesto.»
Mi era sempre sembrato un atto di superbia, un sentirsi superiore, e questo stonava parecchio con il carattere di Amleto. Soprattutto, mi sembrava fuori posto in quel momento: fosse stato dopo, la recita con gli attori, la morte di Gonzago... Ma ora ho finalmente capito come va tradotto, almeno pensando a me stesso. E’ una traduzione ovviamente molto personale, e molto milanese: chiedo scusa in anticipo, ma essendo conscio dei miei limiti e dei miei difetti prendo in prestito questa frase di Shakespeare e la piego alla mia convenienza. Dato per scontato che questo tempo è davvero scardinato, sia nel senso del furto con scasso che dell’essere fuori dai cardini, ma proprio a un pirla come me doveva capitare di andare a prendere il dizionario e spiegare cosa significa questo e quello?
(continua, purtroppo)

giovedì 1 luglio 2010

Saul Bellow

I coccodrilli galleggiavano qua e là in mezzo ai gigli, e quando aprivano la bocca io pensavo a quanto può essere calda, dentro, una creatura umida. (...) L'aria era calda, chiara e arida e per diversi giorni non vedemmo orme umane. Né c'erano molte piante; anzi non c'era quasi niente di niente; tutto era semplice e splendido, ed io sentivo che stavo entrando nel passato, il passato vero, niente storia o roba del genere. Il passato preumano.
(Saul Bellow, Il Re della Pioggia, cap.V)

"Il re della pioggia" è stato il mio primo incontro con Saul Bellow, un incontro del tutto casuale, una vecchia edizione tascabile trovata a pochissimo prezzo in una libreria Remainders'. A quell'epoca leggevo di tutto, e non conoscendolo pensavo che Bellow fosse un fragile intellettuale newyorchese, oppure un cowboy, un Hemingway un po' più sobrio. Invece ad attendermi c'era "Leo" Eugene Henderson, il Re della Pioggia, protagonista di un'avventura mitica in un'Africa inventata ma straordinaria.

« Dovrò dunque fuggire nel deserto, - pensavo - e restarci fino a che il diavolo non mi sia uscito di corpo, ed io sia in grado di accostarmi ad un essere umano senza indurlo alla disperazione al primo sguardo? Forse non ne ho avuto abbastanza, di deserto. Voglio gettar via il fucile e il casco e l'accendino e tutta questa roba, e magari gettar via anche la mia violenza, e campare nel deserto, di vermi. Di locuste. Fino a che dentro di me non sia riarso tutto il male che c'è. »
(Saul Bellow, Il Re della Pioggia, cap.V)

Henderson si perde malamente, in Africa; e viene accolto da una tribù di neri e da un Re improbabile, colto e saggio come un filosofo di Voltaire, che gioca con i leoni. Henderson è Popeye e Bluto nello stesso tempo, e la sua è un'esperienza di vita, e una metafora chiara e divertita della nostra condizione: per ritrovarsi bisogna prima perdersi. Il romanzo è bizzarro e imprevedibile, pieno di humour e di saggezza; e ancora oggi associo il nome di Bellow a questo libro più che ai suoi capolavori più conclamati, come Herzog o Il dono di Humboldt, che ho letto in seguito. E, sempre, con grande riconoscenza verso questo grande e bizzarro animale.

E ripensando ai ranocchi e a molte altre cose, me ne stavo seduto davanti al fuoco, fissando le braci, pensando alla mia vergogna e al mio sfacelo. Ma un uomo continua a vivere, e vivendo le cose vanno meglio o vanno peggio. Non si fermano, ecco; e chi è sopravvissuto ad un disastro lo sa benissimo.
(Saul Bellow, Il Re della Pioggia, cap.IX)

PS: questo post risale al 2005; e ringrazio molto Angela che ripubblicando Bellow sul suo blog ("my favorite things") me lo ha fatto tornare alla memoria.