giovedì 2 dicembre 2010

John Renbourn

«Just an old english song: “I wish I were John Renbourn...”». Una vecchia canzone inglese, da suonare – mi sembra ovvio - con la chitarra. Me la sono inventata io, ma esprime un sentimento autentico: invidia. Invidia buona, s'intende, di quella che fa solo sospirare: vorrei tanto saper suonare così, ma perché mai io non sono capace...
Quando ascolto John Renbourn mi dispiace di non aver imparato a suonare la chitarra. E’ un sentimento di invidia (invidia pacifica, sia ben chiaro) che non si prova con tutti i musicisti: come si fa, per esempio, a essere invidiosi di Yehudi Menuhin o di Arturo Benedetti Michelangeli? Questa è gente piovuta da un altro pianeta, inarrivabile. Non riesco ad essere geloso nemmeno di gente come Jimi Hendrix, o Tim Buckley: troppo diversi da me.
John Renbourn invece ha la caratteristica di essere, nel contempo, un grande chitarrista e una persona normale. Renbourn è grande e grosso, col tempo ha maturato una bella barba bianca (la barba l’aveva anche da giovane), entra sul palcoscenico un po’ goffamente (e fin qui mi riconosco), poi dice due parole di saluto, si siede e comincia a suonare, e anche a cantare, con una bella voce calda e piena. E qui cominciano da una parte l’incanto dell’ascolto, dall’altra parte l’invidia: perché lui sì e io no? Un’invidia difficile da mandare via, ma poi passa perché si ascoltano cose magnifiche, e soprattutto perché a quelli come John Renbourn si finisce per voler bene.
Il repertorio di Renbourn è molto vasto: si parte dal seicento inglese, il periodo elisabettiano, e si arriva fino al blues e al rock, e al jazz, passando per il folk inglese e americano, le antiche ballate da cantastorie, storie d’amore e di esplorazioni, di soldati, di condannati a morte. Un repertorio a cui non siamo abituati, anche i cantanti più famosi sono spesso chiusi dentro un piccolo giro di accordi (sempre quelli, tanto non se ne accorge nessuno) e non vanno oltre un’ottava; questa è probabilmente la ragione per cui il nome di Renbourn non dirà molto alla maggior parte delle persone. Oltretutto, nessuno gli ha mai fatto pubblicità: e viene da pensare che un agente che gli avesse proposto qualcosa di diverso dal semplice suonare e cantare, John Renbourn l’avrebbe mandato subito al diavolo. Sugli scaffali dei negozi di dischi, John Renbourn e i Pentangle (il gruppo con cui ha suonato per molti anni, cinque musicisti bravi come lui) vengono messi sbrigativamente fra la musica celtica: una definizione stupida, la musica del tempo di Shakespeare e le ricerche musicali di Alan Lomax, o il jazz, non hanno niente a che fare con gli antichi celti – purtroppo l’ignoranza e la superficialità regnano spesso da sovrane anche nella critica musicale. L’Inghilterra ha avuto grandissimi cantanti e chitarristi (cioè no, liutisti e violisti: ma qui fa lo stesso) da sempre, dai tempi di John Dowland, o magari di Ferrabosco; e sono ascolti che consiglio caldamente.
Renbourn ha registrato moltissimi dischi, a partire da quel 1966 in cui incise il suo primo album. Per l’elenco completo, rimando a wikipedia e al sito personale di Renbourn; qui mi limito a mettere i nomi dei suoi compagni d’avventura al tempo dei Pentangle (almeno cinque dischi bellissimi, in perfetta sintonia) e a ricopiare una poesia elisabettiana, strana e fascinosa, musicata da Renbourn nel suo primo disco (John Donne, 1572-1631, contemporaneo di Shakespeare, di Monteverdi, e di Cervantes, è uno dei più grandi poeti inglesi di tutti i tempi).
I Pentangle: Jacqui McShee, meravigliosa e infallibile cantante; Bert Jansch e John Renbourn, voci e chitarre; Terry Cox, percussioni; e lo straordinario bassista (contrabbasso acustico) Danny Thompson.
John Donne, “Song”.
Goe, and catche a falling starre,
get with child a mandrake roote,
tell me, where all past yeares are,
or who cleft the Devils foot,
teach me to heare Mermaides singing,
or to keep off envies stinging,
and finde
what winde
serves to advance an honest minde.
If thou beest borne to strange sights,
things invisible to see,
ride ten thousand daies and nights,
till age snow white haires on thee,
thou, when thou retorn'st, wilt tell mee
all strange wonders that befell thee,
and sweare
no where
lives a woman true, and faire.
If thou findst one, let mee know,
such a Pilgrimage vere sweet,
yet doe not, I would not goe,
though at next doore wee might meet,
though shee were true, when you met her,
and fast, till you write your letter,
yet shee
will be
false, ere I come, to two, or three.
(Canzone. Va' ad afferrare una stella cadente, impregna una radice di mandragola, dimmi dove sono tutti gli anni passati, o chi fendette il piede del diavolo, insegnami a udire il canto delle Sirene, o ad evitare la trafittura d'invidia, e trova qual vento occorra per far progredire un animo onesto.
Se tu sei nato a strane visioni, a veder cose invisibili, cavalca giorni e notti diecimila, fino a che la vecchiezza nevichi su te bianchi crini; e al tuo ritorno mi racconterai tutti i portenti strani che ti accaddero, e giurerai che in nessun luogo vive donna fedele e bella.
Se ne trovi una, fammelo sapere, dolce sarebbe un tal pellegrinaggio; ma se no, non dirmelo; io non vi andrei anche se potessi incontrarla alla porta accanto; per quanto fosse fedele quando tu l'incontrasti, e lo rimanesse fino che tu mi abbia scritto la lettera, ella però sarà infedele, prima ch'io venga, a due o tre.)
(le immagini vengono dal sito http://www.john-renbourn.com/ )

7 commenti:

francesco ha detto...

stasera lo riascolto, me l'hai ricordato.

è un grande!

Dario ha detto...

Giuliano mi sorprendo sempre a scoprire quando sia vicini i nostri percorsi :-)

Giuliano ha detto...

Renbourn è una gran bella compagnia: mai invadente, sempre sorprendente. E mi ha aiutato a scoprire John Dowland e la grande musica del '600, quando avevo 16-18 anni.
:-)
Francesco, ma quanti link hai messo?? ci vorranno dei mesi per districarsi...
:-)

Mauro ha detto...

Musica perfetta per questi giorni freddi e nevosi, magari davanti a un caminetto acceso. Ultimamente ascolto sempre più spesso i Pentangle, John Martyn, i Fairport Convention e Richard Thompson in particolare. Nei miei percorsi a ritroso ho poi scoperto Davy Graham, chitarrista prodigioso, lo conosci?

Giuliano ha detto...

Lo alterno con i quartetti di Beethoven, con quelli di Brahms...Non c'è migliore compagnia!
:-)
Davy Graham mi sfugge...è sempre uno di quel giro, se non ricordo male. M'informerò!

Silvia Pareschi ha detto...

Ah, i Pentangle, grandissimi!

Giuliano ha detto...

Silvia, pensa che sono perfino riuscito ad ascoltarli in concerto! Mancava Danny Thompson, però gli altri hanno dato spettacolo
:-)