giovedì 11 marzo 2010

Ceo

Una volta è venuto in tizio in visita, in fabbrica, e hanno fatto pulizia dappertutto: siccome la fabbrica è grande e ci sono delle strade interne, hanno affittato anche la macchina per pulire le strade, quella del Comune. Non che prima fosse sporco: un po’ sì, ma una roba normale, insomma, accettabile. Solo che adesso doveva arrivare quel signore lì, e la fabbrica doveva brillare – o quasi.
Quando è venuto anche da noi (ma io quel giorno non c’ero) mi hanno detto: «Quello lì è il Ceo.»
Lo hanno detto con gran rispetto, ma a me è venuto da ridere. Ho spiegato perché, ma non ha riso nessuno: non per colpa mia, credo, ma perché in fin dei conti siamo in Lombardia, non in Veneto.
CEO è una sigla in inglese, un acronimo, che sta per Chief Executive Officer, l’Amministratore Delegato - insomma, un pezzo grosso. In inglese penso che si pronunci qualcosa come “si-i-ou”, ma se tutti dicono “ceo” bisognerà pur adeguarsi.
Invece, in veneto (mia lingua paterna) “ceo” significa “piccolo”, e questa parolina è legata – per l’appunto - ad un piccolo ricordo familiare. Mio padre aveva una sorella di diciotto anni più vecchia di lui; come conseguenza, era zio di una nipote di un paio d’anni soltanto più giovane. Per qualche anno, alle elementari, si erano trovati nella stessa scuola; e la bambina lo chiamava “zio”, cosa che l’altro bambino non gradiva molto (con inevitabili conseguenze). «Ma se non devo chiamarlo zio, allora come devo chiamarlo?» si chiese quella mia cugina; e gli spiegarono che se era lo zio doveva chiamarlo zio. Spiegazione che non convinse del tutto quella bambina dei primi anni ‘30: che da allora, per evitare guai, si mise a chiamare mio padre “quell’ometto céo”. Anche la squadra di calcio del Chievo, che è di Verona, per i suoi tifosi è “Céo”, e quasi quasi adesso che lo so vorrei esserne tifoso anch’io. (Ovviamente, crescendo, i rapporti fra mio padre e quella nipote si normalizzarono presto).
Non so bene perché, sarà che sono un anarchico in fondo all’anima, ma per me è un impulso troppo forte: appena leggo “CEO” lo trasformo subito in “céo”. E sono quasi sicuro che se il mondo fosse governato dai “céi” invece che dai “CEO” probabilmente molte cose funzionerebbero meglio.

2 commenti:

angela ha detto...

sta passanda di moda, mi pare, questo modo bislacco di chiamare alcune figure professionali.

Giuliano ha detto...

E' vero! I "titoli" hanno una loro moda, per esempio oggi nessuno vorrebbe più sentirsi dire Commendatore, anche se il titolo esiste ancora la parola non piace più. Nel momento in cui ci sono tanti CEO, è più figo tornare a dire AD. (mah!)
A me questa storiellina del Ceo era piaciuta moltissimo, spero che arrivi un po' del mio divertimento.