lunedì 15 febbraio 2010

Miracolo a Milano

“Miracolo a Milano” non è soltanto un capolavoro: è un film divertente, pieno di trovate, girato con grande simpatia, con grandi attori, e anche con effetti speciali: si sa, per ammissione esplicita di Spielberg, che la scena delle biciclette in volo di “E.T.” è proprio un omaggio a questo piccolo grande film.
In più, “Miracolo a Milano” ha molte sequenze parlate in dialetto: dialetto milanese, di quello ormai difficilissimo da ascoltare, quasi estinto. Ed è un vero piacere ascoltare questi dialoghi perché – a molti oggi può sembrare strano, ma così era – l’espressione “Milano con il cuore in mano” aveva davvero un senso, non nasce per caso o per puro amore della rima.

Ed è davanti a questa osservazione, del dialetto milanese ritrovato, che mi sono trovato a chiedermi, come già mi era successo con Dario Fo (“Il Nobel alla Padania”), come mai, pur essendo in presenza di un forte movimento politico su base lombarda, addirittura un Partito, non si parli mai di “Miracolo a Milano”. E quando dico mai intendo mai, propi mai, nihil, nagott, silenzio assoluto e magari imbarazzato quando si nomina il film davanti a qualcuno “che sa”.
Ecco dunque quali sono i difetti di “Miracolo a Milano”:
1) si parla di barboni e di senza tetto, di irregolari. 2) di questi barboni, senza tetto, irregolari, si fanno degli eroi positivi. 3) i ricchi, e soprattutto le immobiliari, sono dipinti come avari e senza pietà, veri strozzini. 4) quarto, ma non ultimo, gli autori di questo film sono un romano (Vittorio De Sica) e un mantovano comunista (Cesare Zavattini).

Guardando il film, viene da pensare una cosa: quando il ragazzo protagonista esce dall’orfanotrofio, nelle sequenze iniziali, saluta tutti con un bel “Buongiorno!”, come gli ha insegnato la vecchina sorridente che lo aveva raccolto, appena nato. E un signore ben vestito gli fa notare: “Buongiorno a chi? A me? Ma se non mi conosce neanche!” E se ne va via indispettito.
Ecco, forse è questa la parte di Milano che ha vinto. Milano non è tutta “con il cuore in mano”, non lo è mai stata: ce ne erano molti, di milanesi aperti e sorridenti, e tanti li ho conosciuti anch’io, ho fatto in tempo e ne sono contento (io purtroppo non sono così, ma questa è un’altra storia). Però nella vita vera, e non nella favola che qui si racconta, hanno vinto loro, i cattivi, gli immobiliaristi, gli avari. Sono loro che dettano legge e fanno da modello, e per chi gli ricorda la loro vera natura c’è solo disprezzo e silenzio.

2 commenti:

angela ha detto...

hanno vinto e soprattutto sono più visibili d'altri.
Non è solo Milano, tutta l'Italia è un comitato d'affari che spartisce la torta a quelli già privilegiati. Prima eravamo disposti a fare la rivoluzione (si fa per dire) per rovesciare lo stato delle cose, ora si mettono in fila, sperando di entrare tra gli eletti. A qualsiasi degradante condizione.

Giuliano ha detto...

sì, quel finale era proprio una favola. "La classe operaia va in Paradiso" nasce forse da qui, ed era un film durissimo - ma la realtà è andata anche peggio.