venerdì 22 gennaio 2010

Il segreto del successo

Ermanno Olmi, da un'intervista a "La Repubblica" del 6 gennaio 2010
(...)
- Cosa prova nel rivedere i suoi film?
«Non provo nulla, perché non li rivedo. Perché in fondo non amo il cinema.»
- È un'affermazione paradossale detta da lei.
«Non lo amo come ragione principale della mia vita. Quando ho terminato un film, tutti gli scarabocchi, le cartacce, gli appunti che sono serviti per la preparazione, li butto via. Li distruggo. Non voglio restare prigioniero di frammenti di vita che è stata vissuta e non ho più l'opportunità di rivivere. E’ come per un bambino. L'energia che mi resta è rivolta all'attesa di accadimenti futuri che possono darmi la soddisfazione di sentirmi ancora vivo e presente al mondo».
- È strano, avrei detto che prediligeva il passato: la grande tradizione contadina, il cristianesimo, i mondi che rischiano di scomparire.
«C'è un cinema per sognare e un cinema per capire. E il cinema non può fare a meno del passato se vogliamo comprendere che cosa siamo diventati. Quando guardo indietro lo faccio soprattutto per vedere cosa ci accadrà nei prossimi anni. Lo dico senza smanie di profezia. La buona arte non può fare a meno del passato, ma d'altra parte non ne può restare prigioniera».
- A quale scrittore si sente più legato?
«Senz'altro Tolstoj: è una fonte inesauribile di ispirazione. Una forza che ha attraversato la letteratura, la società, la vita».
- E il regista?
«Rossellini, il suo Paisà, che vidi nel 1947 fu alla base del mio interesse per il cinema».
- Come reagisce di fronte a una stroncatura?
«Non mi arrabbio, se è questo che vuol sapere. Non ci resto male. Perché fare un film non è diverso da altre azioni della nostra vita: possono riuscire bene o meno bene. Tutto dipende dal momento, da quella misteriosa umoralità che in un certo istante ti attraversa. E poi, dico la verità, quando preparo un film non mi sento in gara per il successo. Ho sempre avuto la fortuna di non sentirmi in competizione con qualcuno. E non mi aspetto dal critico niente di più e niente di meno di ciò che pensa».

(Intervista con Ermanno Olmi, a cura di Antonio Gnoli, La Repubblica 6 gennaio 2010 )

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