mercoledì 9 dicembre 2009

Natascia Rostova all'opera

«Ma poi che cos’è che ci trovano nell’opera lirica?»
In questi giorni, quando se ne parla perché c’è l’apertura di stagione alla Scala, se lo domandano in molti; e allora riporto qui una descrizione fedelissima, per di più d’autore.
Ho sistematicamente tagliato tutte le parti romantiche, un po’ perché erano molto lunghe ma soprattutto perché queste cose qui non succedono sempre, anzi mi viene il dubbio che succedano solo quando c’è Natascia Rostova (sedicenne all’epoca dei fatti). Il resto no, il resto è quasi routine (ma io andavo sempre in loggione, posti in piedi: si stava un po’ scomodi ma si ascolta meglio che in tutto il resto del teatro, almeno alla Scala; e poi – dettaglio non secondario – fuori dai palchi e dalla platea ci si può vestire in modo da star bene, da persone normali, senza cravatta e senza code nella giacca).

Leone Tolstoj, Guerra e Pace: volume secondo parte quinta, estratti dai capitoli VIII-IX-X
Quella sera i Rostòv si recarono all'opera, per la quale Mària Dmìtrievna aveva procurato i biglietti.
Natascia non ne aveva voglia, ma non era possibile rifiutare la cortesia di Mària Dmìtrievna, destinata a lei sola. Quando, già pronta, si recò in salotto ad aspettare suo padre e, dopo essersi guardata in un grande specchio, vide di essere bella, molto bella, si sentì ancora più triste, ma di una tristezza fatta di dolcezza e di amore. (...)
Capitata in una fila di vetture, stridendo con le ruote sulla neve, la carrozza dei Rostòv si avvicinò lentamente all'ingresso del teatro. Natascia e Sonia balzarono rapide a terra, sollevando i loro vestiti; il conte scese, sostenuto dai servitori, e tutte e tre, fra signore e cavalieri che entravano e maschere che vendevano il programma, s'avviarono lungo il corridoio dei palchi di prim'ordine. Dagli usci semiaperti già si sentiva l'eco della musica. (...)
Risuonarono intanto gli ultimi accordi del preludio e la bacchetta del direttore d'orchestra diede un colpo secco. In platea i signori in ritardo raggiunsero i loro posti e il sipario si alzò.
Non appena il sipario fu alzato, nei palchi e in platea si fece un gran silenzio e tutti (...) concentrarono la propria attenzione con avida curiosità sulla scena. E anche Natascia si mise a guardare.
Il centro era fatto di un assito piano, ai lati la scena era chiusa da cartoni dipinti che rappresentavano alberi, nel fondo era una tela tesa su un telaio. Nel mezzo della scena sedevano alcun fanciulle vestite di un corpetto rosso e di una gonnella bianca. Un'altra ragazza, molto grassa, che indossava un vestito bianco, stava seduta in disparte su una panchina bassa; dietro la panchina era incollato un cartone verde. Cantavano tutte insieme.
Quando ebbero finito la loro canzone, la ragazza col vestito bianco venne avanti verso la buca del suggeritore, e mentre vi si veniva accostando, un uomo che portava un attillato paio di calzoni di seta sulle grosse gambe e che aveva una piuma sul berretto e un pugnale alla cintura cominciò a cantare e ad allargare le braccia. Dapprima cantò l'uomo con i calzoni attillati, solo, poi cantò anche la ragazza. Dopo di che tutt'e due tacquero, la musica suonò alcune battute e l'uomo prese a palpare fra le dita una mano della ragazza, in evidente attesa della battuta per incominciare a cantare insieme.
Finito che ebbero il duetto, tutto il teatro cominciò a battere le mani e a gridare, mentre l'uomo e la donna sulla scena, i quali raffiguravano due innamorati, si profusero in inchini sorridendo e allargando le braccia. Tutto questo a Natascia, dopo la vita in campagna e nella seria disposizione d'animo in cui si trovava, appariva strano e stupefacente.
Non le riusciva di seguire l'andamento delle vicende dell'opera e nemmeno di ascoltarne la musica: vedeva soltanto i cartoni dipinti, gli uomini e le donne stranamente camuffati che stranamente si muovevano e parlavano e cantavano sulla scena sotto una luce abbagliante; sapeva bene cosa tutto ciò dovesse rappresentare, ma l'insieme era così leziosamente falso, così privo di naturalezza che in certi momenti si vergognava per gli attori e in certi altri aveva voglia di riderne.
Guardava intorno a sé le facce degli spettatori, cercava su di esse l'espressione della perplessità e della canzonatura che erano dentro di lei, ma tutti i visi erano attenti a quel che accadeva sulla scena ed esprimevano, come pareva a Natascia, un'ammirazione simulata. "Forse così dev'essere! » pensava Natascia. (...)
A poco a poco e senza rendersene conto, Natascia cominciava ad entrare in uno stato d'ebbrezza, non più provato da lungo tempo. Non ricordava chi fosse, non sapeva dove si trovasse e cosa stesse accadendo dinanzi a lei. Guardava e pensava, e le idee più strane le balenavano all'improvviso e senza nesso nella mente. Ora le veniva l'idea di fare un salto sul proscenio e di cantare l'aria che eseguiva la prima donna, ora la prendeva la voglia di colpire con il ventaglio un vecchietto seduto non lontano da lei, ora di chinarsi verso Hélène e di farle il solletico. (...) Finì il primo atto, in platea tutti si alzarono, si confusero insieme, cominciarono a muoversi e a uscire.
(...) Al secondo atto i quadri della scena rappresentavano monumenti e un buco nella tela raffigurava la luna; i paralumi della ribalta erano stati tolti; tromboni e contrabbassi presero a suonare in chiave di basso e, da destra e da sinistra, uscirono molti uomini avvolti in mantelli neri. Quegli uomini si misero a gesticolare, tenendo in mano qualcosa come dei pugnali; poi accorsero certi altri uomini e si misero a trascinare fuori la giovane donna che prima era vestita di bianco e che adesso portava una veste celeste.
Ma non la trascinarono fuori subito, si trattennero un pezzo a cantare con lei, e poi finalmente la portarono fuori e allora, dietro le quinte, furono battuti tre colpi su qualcosa di metallico e tutti s'inginocchiarono e intonarono una preghiera. Più volte tutte queste azioni furono interrotte dalle grida entusiastiche degli spettatori. (...)
Nel terzo atto la scena rappresentava la sala di un palazzo, nella quale ardevano numerose candele e sulle cui pareti erano appesi molti ritratti di cavalieri con la barbetta. Nel mezzo stavano in piedi due personaggi: probabilmente un re e una regina. Il re agitò la mano destra e, preso evidentemente dalla timidezza, cantò male qualche cosa e si sedette su un trono cremisi. La ragazza, che all'inizio era vestita di bianco, poi di celeste, e che indossava ora soltanto la camicia e aveva i capelli sciolti, stava accanto al trono.
Cantava con voce dolente, volgendosi alla regina, ma il re fece un gesto severo con la mano e dai due lati della scena uscirono uomini con le gambe nude e donne con la gambe nude e si misero a ballare tutti insieme. Poi i violini si misero a suonare molto finemente un motivo brioso e una delle ragazze, che aveva le gambe nude e grosse e le braccia magre, staccandosi dagli altri, sparì dietro le quinte, si aggiustò il corsetto, ritornò in scena e cominciò a saltare e a battere rapidamente un piede contro l'altro. In platea scoppiarono applausi e grida di «brava!»
Poi uno degli uomini si ritirò in un angolo. Nell'orchestra, i timpani e le trombe alzarono il tono e quell'uomo con le gambe nude si mise a saltare da solo molto in alto, e a muovere rapidamente i piedi in passi brevissimi. (Quell'uomo era Duport che riscuoteva, per quell'arte, sessantamila rubli l'anno.) In platea, nei palchi, nel loggione tutti gli spettatori si diedero a battere le mani e a gridare a perdifiato: l'uomo si fermò e rivolse sorrisi e inchini da tutte le parti.
Poi ballarono anche altri, uomini e donne, tutti con le gambe nude, poi di nuovo il re gridò qualcosa seguendo il ritmo della musica e tutti si misero a cantare. Ma tutto a un tratto si sollevò un uragano: in orchestra si udirono scale cromatiche e accordi in settima minore. Tutti fuggirono e di nuovo trascinarono uno dei presenti dietro le quinte.
Il sipario calò. Ancora una volta un gran rumore e un terribile frastuono si levarono fra gli spettatori, i quali, con le facce estasiate, gridavano: "Duport! Duport! "
Anche a Natascia la cosa non pareva più strana. Sorridendo gioiosamente si guardava intorno con piacere. (...)
Nel quarto atto, un diavolo cantò gesticolando fino a che una tavola non gli fu tolta di sotto ed egli disparve in una botola. Natascia dell'intero quarto atto non vide altro: qualche cosa la teneva agitata e la tormentava, e la causa di quell'agitazione e di quella pena era Kuràghin, che ella involontariamente seguiva con gli occhi. (...)
(Leone Tolstoj, Guerra e Pace, volume secondo parte quinta, dai capitoli VIII-IX-X)
(trad. Laura Simoni Malavasi, ed. BUR)

Tolstoj non ci dice che opera era. Io propenderei per Meyerbeer, “Robert le diable”: per la presenza dei balletti, per la lunghezza, e per il diavolaccio nel quarto atto. Sarebbe un anacronismo, perché l’opera di Meyerbeer è del 1831 e “Guerra e Pace” è ambientato a inizio Ottocento, al tempo di Napoleone; ma Tolstoj , vissuto fra il 1828 e il 1910, sta sicuramente raccontando qualcosa che ha visto lui, e non Natascia.

Nessun commento: