sabato 1 agosto 2009

Robert Johnson


Il 23 novembre 1936, a San Antonio in Texas, alcuni tecnici della American Recording Corporation chiamarono ad incidere dei dischi un negro che avevano visto per strada, o in qualche locale. E' una data destinata a rimanere storica: quel "negraccio" (sembra di essere lì quando lo chiamarono: "Hey, nigger...") era Robert Johnson, chitarrista e cantante di blues, una leggenda ancora oggi. Il giovane negro fece parecchie incisioni, in quel giorno; altre ne fece il 26-27 novembre. Poi sparì, e fu ritrovato un anno dopo a Dallas, dove registrò altre canzoni: il 19 e 20 giugno 1937, come riporta la copertina del disco. In totale, 29 canzoni registrate, più qualche variante nel dubbio che la registrazione non fosse venuta bene la prima volta. 41 incisioni in tutto, fatte al volo, così su due piedi, e pagate una miseria.
Quei dischi ebbero un successo immediato e sconvolgente, e non poteva essere che così. Il talento di Johnson, la sua straordinaria abilità tecnica, la forza e la bellezza delle canzoni, le circostanze in cui vennero effettuate le registrazioni e le poche notizie che circolavano sulla sua vita, ne fecero subito una leggenda. Come già avvenne per altri famosi virtuosi, come per Paganini cent'anni prima, nacque la leggenda di un suo patto con il diavolo: nessuno poteva suonare la chitarra a quel modo, non certo una persona normale. Invece è possibile, e forse è più banale di quel che sembra; in seguito saltarono fuori altre notizie sulla sua vita, e anche una sua foto - con la chitarra, ovviamente. Robert Johnson però, ed è purtroppo una storia che si ripete spesso, non potè godersi il successo: era nato nel 1911, e morì il 13 agosto 1938: avvelenato da una donna, si dice.
Forse si può dire che tutto il rock risale a quel 1936. Il blues c'era anche prima, e c'era già anche il jazz: ma si tratta di una data fondamentale, come il 1607 per l'opera. Ma, detto questo, va anche ricordata la straordinaria forza e bellezza dei suoi testi, che parlano di un mondo diretto e brutale, spesso violento, ma poetico e perfetto nella metrica e nella costruzione di una storia.
Per esempio Crossroads, la sua canzone più famosa: l'uomo solo ad un incrocio, che medita sulla sua condizione, un incrocio che è forse un Trivio, un archetipo che ci rimanda diritti alla tragedia greca; o le storie di gelosia e di infinita tristezza, o di spavalda allegria senza motivo.
La mia preferita è "Love in vain", altra canzone ripresa mille volte da mille artisti diversi. Una ballata delicata e struggente, che non ti aspetteresti da un tipo che pochi minuti prima aveva magnificato, sia pure con tono divertito, la 32:20 (è il calibro di una pistola, mi insegnano le note del disco: perché "la 38 special credo sia troppo leggera" , per la donna che lo aveva lasciato). Il treno che parte, e che allontana il protagonista dall'amore, e dalla felicità: e le luci del treno che diventano un simbolo, un'immagine poetica: la luce blu è la mia tristezza, e quella rossa è la mia mente... (the blue light was my blues, and the red light was my mind: oh, my love in vain...)
(Giuliano, agosto 2003)
(i disegni sono di Tom Wilson: la copertina del mio primo lp con le canzoni di Robert Johnson)

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