domenica 16 agosto 2009

Ravel

E’ quasi un riflesso condizionato, una molla pronta a scattare come quella delle trappole per i topi: si nomina Ravel e salta subito fuori il Bolero. In realtà, Ravel non aveva molta stima di quel suo piccolo lavoro: “qualsiasi studente del Conservatorio avrebbe potuto scriverlo”, fu la sua dichiarazione in proposito, quando gli fecero i complimenti per il successo che riscuoteva in tutto il mondo. Detto che tutti gli studenti di tutti i Conservatori di tutto il mondo sarebbero strafelici di averlo composto, ed a ragione, è però vero che il Bolero non rende se non in minima parte l’idea della grandezza di Maurice Ravel. Chi vuol conoscere Ravel deve entrare davvero nel suo mondo, che è quella di un compositore raffinatissimo, grande orchestratore, sempre piacevole all’ascolto ma solo apparentemente semplice.
Forse Ravel è davvero il Novecento in musica. Nessun altro come lui è riuscito a fondere in maniera così perfetta l’alto e il basso, il jazz e il classico, la canzone e il canto lirico, l’orchestrazione raffinata e la semplicità assoluta nel porgerla. Le interviste ai musicisti, a partire dai mostri sacri come Benedetti Michelangeli, sono piene di ammirazione per Ravel; dicono sempre che anche i passaggi all’apparenza più semplici rivelano poi difficoltà inaspettate. Sia per chi esegue che per chi ascolta, possiamo aggiungere. Potrei fare un esempio perfino ridicolo: l’imitazione del verso del gatto innamorato, un bel gattone dalla voce baritonale, nell’operina “L’enfant e les sortileges”. Non si sa se ridere o se restare ammirati, e forse è proprio questo l’effetto che voleva Ravel: divertire o commuovere, ma senza scendere a compromessi o perdere di valore.
L’elenco dei capolavori di Ravel è lunghissimo, da “La valse” (che un po’ riprende la formula del “Bolero”, ma con il valzer), ai “Valzer nobili e sentimentali”, alla “Pavane pour une infante défunte”, al “Concerto per la mano sinistra” dedicato all’amico pianista rimasto mutilato nella Grande Guerra; ma se devo scegliere una composizione, e soltanto una, allora prendo le tre “Canzoni di Don Chisciotte”, cioè “Don Quichotte à Dulcinée” su testo di Paul Morand; possibilmente nell’esecuzione di uno dei grandi baritoni francofoni, Josè van Dam o Gérard Souzay.

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