sabato 1 agosto 2009

Armstrong e Puccini

Per me il jazz è felicità, è forza d'espressione e forza vitale. E' per questo che per me il jazz è soprattutto quello delle origini, con Louis Armstrong, King Oliver e Bix Beiderbecke in prima fila. Mi piace anche Charlie Parker, mi piace Coltrane, ma è già un'altra cosa, più pensoso, più mediato. Mi piace molto anche Miles Davis, ma solo fino a "In a silent way": quando storpia la sua voce limpida con l'elettronica, negli anni 70, per me diventa solo uno dei tanti.
Quando dico Armstrong, intendo gli anni 30: Satchmo da giovane, non ancora compromesso con il mondo della musica commerciale, che peraltro ha nobilitato molto con la sua sola presenza fisica (quella voce fuori dal coro, quella tromba inimitabile). Ci sono delle incisioni favolose di quel periodo, però sono sui vecchi 78 giri. Durano tre minuti ed anche meno, si intuiscono musicisti favolosi e assoli straordinari, ma il limite dei tre minuti è tremendo. Basta per ascoltare la canzone, ma quello che si intuisce e che è appena accennato non lo ritroveremo mai più.
Nei primi anni del 900, Puccini fece un giro in America. Era già ricco e famoso, ed era molto curioso di vedere ed ascoltare tutto il possibile. Le cronache d'epoca ce lo ricordano mentre esprime tutta la sua meraviglia ed ammirazione per "le incredibili bande di ottoni dei neri": era un po' presto per ascoltare proprio Armstrong (nato nel 1900, segno del destino), ma non faccio fatica a immaginare che a Puccini quella miracolosa musica d'ottoni sarà rimasta nelle orecchie per un bel po' di tempo.

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